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Legge Bilancio e Colle: patto Letta non decolla. Conte chiede riforme, Renzi si sfila

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Il tavolo dei leader della maggioranza per blindare la manovra e poi parlare di Colle rischia di avere qualche gamba mancante. La proposta lanciata da Enrico Letta non scalda i cuori di tutte le forze che sostengono il governo Draghi. Qualcuno lo dice apertamente, come Matteo Renzi: “E’ un errore legare il patto della legge di Bilancio con quello del Quirinale”. Perché la sua impressione è che “i leader dei partiti maggiori abbiamo un sogno nel cassetto, andare a votare nel 2022”.
Quasi un sospetto, perché dell’ex Bce ha una considerazione molto elevata: “Draghi è il perfetto Presidente del consiglio fino al 2047, ma sarebbe anche un ottimo presidente della Repubblica, presidente del consiglio europeo”.

All’appello di Letta risponde positivamente l’alleato principale dei dem, Giuseppe Conte. Anche se il presidente del M5S prova ad andare oltre rilanciando anche il discorso sulle riforme costituzionali, sfiducia costruttiva in testa, per dare meno poteri ai piccoli partiti. “Affrontiamo il nodo di quelle che sono le riforme necessarie, altrimenti avremo un governo all’anno da qui al 2026 e il Pnnr no”, dice l’ex premier, che non esclude Silvio Berlusconi dalla lista dei leader con cui discutere. E nemmeno Matteo Salvini, anche se “chiede di togliere i soldi dal reddito di cittadinanza”, ma tant’è: “Un confronto è sempre opportuno e benvenuto”.

Il problema principale, semmai, sarà quello di convincere le forze di maggioranza a rinunciare ad alcune delle loro bandiere per questa legge di Bilancio. Salvini ribadisce di essere pronto ad andare “a qualsiasi riunione che possa essere utile ad aiutare il Paese”, ma la Lega spinge per la rottamazione di tutte le cartelle esattoriali degli anni 2018 e 2019 e per riapertura dei termini per chi non è riuscito o non riuscirà a pagare le rate di quelle precedenti a causa del Covid. Oggi, invece, Forza Italia presenterà le sue proposte per la manovra. Poi, sarà sfida per assegnare gli 8 miliardi destinati al fisco: da sinistra chiedono di impegnarli per ridurre le tasse sul lavoro, dando più soldi nelle buste paga. Dal centrodestra, invece, l’idea è di dividere il tesoretto o quantomeno agevolare le aziende con maggiore liquidità nella fase di ripresa.

Un accordo, alla luce di questo quadro, sembra un esercizio complicato, ma il Pd un primo passo lo fa. Perché nella riunione che precede la conferenza dei capigruppo del Senato, dove la manvora è stata incardinata dando ufficialmente avvio alla sessione di bilancio, Simona Malpezzi, a nome del suo partito, propone di mettere insieme i desiderata già dalla fase di predisposizione delle audizioni legate alla finanziaria, per poi concretizzare il lavoro di sintesi della maggioranza una volta che saranno stati depositati gli emendamenti. “Non ho trovato muri”, dice la capogruppo dei senatori dem, anche se forse non è la reazione che Letta si aspettava.
Ma il segretario del Pd, che sul tema ha deciso di mantenere la linea del silenzio e dell’attesa, resta fiducioso. L’equilibrio tra forze politiche così diverse è fragile di natura e le scadenze, scelta del nuovo capo dello Stato in primis, decisive: se son rose, fioriranno.

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