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Migranti, stupri e torture in Libia. Amensty racconta l’inferno prima dei barconi

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

“Hanno gettato un uomo dal pick-up lasciandolo nel deserto. Era ancora vivo, era disabile”. Lo racconta Paolos, 24 anni, un eritreo arrivato in Libia nell’aprile 2016 attraverso Sudan e Ciad. I suoi trasportatori hanno abbandonato un disabile nel deserto, poco dopo essere entrati in Libia diretti a Sabha. Un’altra eritrea, 22 anni, ha assistito alla violenza sessuale contro una donna accusata di non aver pagato il dovuto ad altri trafficanti: “La sua famiglia non aveva i soldi per pagare una seconda volta. Allora cinque uomini libici l’hanno presa da parte e l’hanno stuprata. Era notte, nessuno di noi ha potuto far niente, avevamo troppa paura”.

Ramya, anche lei 22enne eritrea, è stata stuprata dagli uomini che la tenevano prigioniera in un campo nei pressi di Ajdabya, nel nord-est della Libia, dove era entrata nel marzo 2015. “Dopo aver bevuto alcool e fumato hashish, le guardie entravano e sceglievano le donne. Poi le portavano fuori – racconta Ramya -. Le ragazze cercavano di opporsi ma quando hai una pistola puntata alla testa, non hai altra scelta se vuoi sopravvivere. Mi hanno stuprato due o tre volte. Non volevo perdere la vita”.

L’attenzione dei media, in questi giorni, si concentra soprattutto sui viaggi che i migranti intraprendono dalle coste della Libia per tentare di sbarcare in Italia. Meno raccontate, invece, sono le disavventure che queste persone vivono per arrivare nel Paese che fu retto per anni da Gheddafi. Amnesty International ha raccolto orribili testimonianze di violenza sessuale, uccisioni, torture e persecuzione religiosa, che confermano la scioccante dimensione degli abusi che migranti e rifugiati subiscono affidandosi ai trafficanti nel percorso verso la Libia e all’interno di questo Paese.

Nelle ultime settimane l’organizzazione per i diritti umani ha parlato con una novantina di migranti e rifugiati nei centri d’accoglienza della Puglia e della Sicilia. Queste persone, arrivate in Italia dalla Libia nei mesi precedenti, hanno denunciato abusi da parte di trasportatori, trafficanti, gruppi armati e bande criminali. “Questi migranti e rifugiati hanno raccontato, con particolari agghiaccianti, l’orrore che sono stati costretti a subire in Libia: rapimenti, detenzione in carceri sotterranee per mesi, violenza sessuale, pestaggi, sfruttamento, uccisioni – ha dichiarato Magdalena Mughrabi, vicedirettrice ad interim del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International -. La loro testimonianza fornisce un quadro terrificante da cui hanno cercato disperatamente di fuggire le persone che arrivano in Europa”.

Amnesty ha parlato con 15 donne, la maggior parte delle quali ha raccontato che gli stupri sono talmente comuni che molte assumono contraccettivi prima di mettersi in viaggio, onde evitare di rimanere incinte. Il personale medico del centro d’accoglienza di Bari ha confermato di aver assistito altre donne che avevano avuto la stessa esperienza. Molti migranti e rifugiati hanno descritto gli abusi subìti in tutte le fasi del viaggio, dall’arrivo in Libia fino a quando hanno raggiunto le città costiere del nord. Altri hanno raccontato di aver vissuto nel Paese per anni, fino a quando si sono trovati nella necessità di fuggire a causa della violenza e delle minacce di bande di criminali, della polizia o dei gruppi armati.

Almeno 20 delle persone intervistate da Amnesty hanno riferito episodi di violenza da parte della guardia costiera e nei centri di detenzione della Libia. “Minniti sa benissimo qual è la situazione in Libia oggi – ha attaccato padre Mussie Zerai stamattina ad ‘Agorà Estate’ – quindi si assume la responsabilità, insieme alle autorità libiche di tutto quello che sta succedendo, gli abusi i maltrattamenti e le torture che avvengono nei centri di detenzione in Libia”. Mussié (o Mosé) Zerai, prete cattolico e attivista eritreo indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ha raccontato più volte delle costrizioni che gli scafisti attuano contro i migranti nei capannoni presenti sulle coste libiche: “A quelle persone interessa solo incassare i soldi e poi liberarsi di quelle persone per far posto ad altre – attacca Zerai dalla trasmissione su Rai3 -. Ho il timore di essere stato strumentalizzato, ma non posso far altro che provare a salvare le vite di chi mi chiama”. Di maggiore attenzione per quello che accade prima di salire a bordo dei migranti ha parlato anche Padre Alex Zanotelli, rivolgendo un appello ai giornalisti italiani. Viene chiesto di “rompere il silenzio sull’Africa”, “senza atti eroici – scrive il religioso dei Comboniani – ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo”.

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