Morire risucchiati da un bocchettone in piscina? Sotto accusa c’è “l’errore umano nella gestione dell’impianto e la presenza di una sola presa di aspirazione. La piscina di per sé non è un pericolo”. A spiegarlo è il presidente di Assopiscine, Antonio Fedon, che riunisce in Italia 150 operatori del settore, dopo le tragedie in hotel a Sperlonga e a Orosei, dove sono morti a luglio una 13enne e domenica scorsa un bimbo di 7 anni.
Come si spiegano le tragedie in vasca come quelle di queste estate?
“Gli incidenti di questo tipo accadono per un errore umano. Deve sempre esserci una persona delegata a gestire la piscina dal punto di vista tecnico, che sia il proprietario o un suo delegato. E vale per impianti inseriti in strutture pubbliche o private il cui carattere è collettivo, quindi strutture condominiali o turistico-alberghiere. Quando un bocchettone, più propriamente la presa di fondo, aspira acqua è perché è stata fatta un’operazione manuale di apertura su quell’elemento. Non può essere aperto durante le ore di balneazione: se ciò accade, è un errore. È un’operazione che va fatta per garantire la qualità dell’acqua ma va eseguita in orari in cui la piscina non è usata dalle persone, è chiusa ed è sospesa la balneazione”.
Come deve essere una piscina per essere sicura?
“L’irregolarità è quando si ha la presenza di un solo bocchettone, perché almeno due punti di aspirazione con altrettante griglie, posizionati a una distanza di almeno 2 metri l’uno dall’altro, consentono invece di evitare il cosiddetto effetto ventosa”.
Cosa prevede la normativa?
“Nelle piscine pubbliche ci sono più prese di fondo e vengono fatti controlli. Diversa è la situazione delle vasche delle strutture turistico-ricettive (hotel, campeggi, etc) che hanno una autonomia legislativa per fare piscine di ridotte dimensioni. Spesso sono vecchie, costruite negli anni ’70-’80-’90, con tecnologie non adeguate. Ma oggi le piscine in Italia sono realizzate con almeno due bocchettoni che risolvono il problema del rischio dell’intrappolamento”