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‘ndrangheta veneto arresti

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Trentatrè persone appartenenti a un’organizzazione criminale di matrice ‘ndraghetista operante in Veneto e dedita alla commissione di gravi reati sono state arrestate dai carabinieri di Padova e del comando provinciale della guardia di finanza di Venezia. Tra i reati contestati l’associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, violenza, usura, sequestro di persona, riciclaggio, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. In corso numerose perquisizioni in Veneto, Lombardia, Calabria e Emilia Romagna unitamente a sequestri di denaro contante, conti correnti, quote societarie, beni mobili e immobili riconducibili agli indagati per un ammontare complessivo di 8 milioni di euro, corrispondente al prezzo e profitto del riciclaggio e dei collegati reati fiscali.

L’articolata indagine condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Padova e dalla compagnia della guardia di finanza di Mirano ha consentito di evidenziare la presenza e l’operatività di una articolazione della cosca di ‘ndrangheta (Crotone), che si era insediata nella provincia di Padova e in quelle contermini di Treviso, Vicenza e Venezia. In un contesto in cui non si è disdegnata l’uso della violenza nei confronti di diversi imprenditori, gli uomini legati alla cosca acquisivano territorio e aziende per riciclare e sviluppare attività illecite. I carabinieri di Padova, con puntuali attività di osservazione e ascolto delle conversazioni hanno portato alla luce diversi episodi qualificabili come di attività estorsiva e usuraia, con tassi di interesse fino ad oltre il 300%, in danno di imprenditori locali, nonché sono state riscontrate varie operazioni di riciclaggio di ingenti somme di denaro provenienti dalle attività illecite della cosca calabrese, realizzate attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti sfruttando anche con la complicità di imprenditori veneti.

In particolare è emerso come, dapprima con minacce e poi, se necessario, con aggressioni fisiche nei casi in cui le intimidazioni non fossero state sufficienti, siano stati modificati gli assetti societari delle aziende asservite agli indagati con la fittizia attribuzione di quote societarie, per arrivare anche all’estromissione dei legittimi proprietari. Nel tempo, i sodali dell’organizzazione criminale sono riusciti a penetrare nel tessuto socio – economico locale producendo, con la violenza e l’utilizzo di armi, attraverso ‘società cartiere’, tutto il supporto documentale necessario alle operazioni di riciclaggio, mascherando i reali profitti di aziende ‘pulite’, potendo così eludere il fisco, accantonare una ingentissima quantità di liquidità in nero e, non per ultimo, mettere a rischio i naturali meccanismi della concorrenza, producendo un danno calcolato in 8 milioni di euro per prezzo e profitto del riciclaggio e dei collegati reati di natura fiscale.

Agli indagati, a vario titolo, sono contestati i delitti di associazione mafiosa (art. 416 bis c.p.) e associazione per delinquere finalizzata all’estorsione, all’usura, al riciclaggio e al trasferimento fraudolento di valori. A quanto sopra si aggiunge anche la dichiarazione fraudolenta mediante emissione di fatture per operazioni inesistenti e la distruzione di documenti contabili, il tutto aggravato per avere commesso tali delitti avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. e l’avere agevolato la cosca ‘Grande Aracri’.

Nel corso delle indagini sono emersi stretti contatti tra esponenti della cosca ‘ndranghetista e una vasta platea di imprenditori veneti e intermediari a cui risultavano essere consegnate periodicamente cospicue somme di denaro contante. Come appurato dai finanzieri di Mirano, gli obiettivi raggiunti erano da un lato la possibilità, in pochi giorni e con pochi passaggi di ripulire ingenti somme di denaro frutto delle proprie attività illecite, facendole apparire come frutto di operazioni commerciali. Dall’altro l’organizzazione lucrava una percentuale sul contante consegnato agli imprenditori veneti, che veniva normalmente incorporato nell’Iva esposta nelle fatture false emesse dalle società cartiere, poi non versata all’erario. Gli imprenditori locali, dal canto loro, con il denaro contante fornito dall’associazione criminale si creavano dei fondi neri da utilizzare anche per fini personali, nonché dei vantaggi fiscali dati dall’utilizzo delle false fatturazioni. L’organizzazione aveva sostanzialmente creato un flusso perpetuo che poteva contare su numerose società conniventi, in cui le stesse somme riciclate venivano celermente reimmesse nel circuito delle false fatturazioni, così da generare ulteriori profitti. 

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