Il casus belli delle dimissioni del capo della comunicazione vaticana, monsignor Dario Viganò, è la lettera di Benedetto XVI, letta dal prefetto della Segreteria per la comunicazione durante la presentazione della collana di 11 volumetti sulla teologia di Francesco edita dalla Lev. La missiva recitava: “Plaudo a questa iniziativa – i volumi pubblicati – che vuole opporsi e reagire allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi”. Parole chiare, aveva anche precisato Viganò per una presa di posizione pubblica rispetto a chi voleva accostare Benedetto XVI alla corrente più tradizionalista presente in Vaticano che non approva la linea scelta da Bergoglio per il suo pontificato. In quell’occasione, il 12 marzo scorso, Viganò legge e diffonde la missiva con omissioni, tagli e ritocchi della foto.
La Santa Sede, i giorni successivi ha voluto far chiarezza e ha precisato che non c’è stata alcuna “censura“. Di quel testo, scrive la segreteria per la Comunicazione, “è stato letto quanto ritenuto opportuno e relativo” soltanto all’elevata formazione dell’attuale pontefice e alla “interiore unione tra i due pontificati”.
La segreteria Vaticana precisa di aver scelto i passaggi da diffondere in funzione della “sola iniziativa” della continuità tra i due pontificati e di aver deciso quali passaggi non diffondere per motivi di riservatezza e non di censura. Tuttavia, “per dissipare ogni dubbio si è deciso di rendere nota la lettera nella sua interezza”.
Nel testo originale divulgato, il Papa emerito non solo aveva declinato l’invito a scrivere su di essi “una breve e densa pagina teologica” perché – come spiegava – “in tutta la mia vita è sempre stato chiaro che avrei scritto e mi sarei espresso soltanto su libri che avevo anche veramente letto” e non riteneva di “leggere gli undici volumetti nel prossimo futuro, tanto più che mi attendono altri impegni che ho già assunti”, ma aveva anche espresso la sua riserva riguardo alla scelta di affidare la stesura di uno dei volumetti a un teologo che era stato fortemente critico del suo magistero e di quello del suo predecessore Giovanni Paolo II: ossia il professor Hünermann, che, scrive Ratzinger “durante il mio pontificato si è messo in luce per avere capeggiato iniziative anti-papali”.