È guerra di tutti contro tutti. Nel Pd Matteo Orfini critica Calenda, Minniti e Gentiloni. Nicola Zingaretti lancia il ‘movimento per l’alternativa’ con sindaci e associazioni di cui il Pd dev’essere il protagonista. Mentre Calenda annuncia il manifesto del Fronte repubblicano, una “grande lista civica nazionale” che superi il Partito democratico. Da Bologna, Romano Prodi propone di andare ‘oltre il Pd’, ma in modo diverso da Carlo Calenda. E l’altro padre fondatore dell’Ulivo, Arturo Parisi, precisa che non si tratta tanto di andare “oltre” quanto “in profondità” alla ricerca dell’origine delle ansie degli italiani per offrire “una alternativa reale” a quella reazionaria ora in campo. Ma, sottolinea lo stratega dell’Ulivo, “limitarsi a continuare sulla stessa strada sarebbe un’illusione”, tanto quanto sarebbe un errore disperdere il patrimonio Dem.
In mancanza di una linea e di una prospettiva, la crisi d’identità rischia di travolgere il Pd nel suo undicesimo anno di vita. Le diverse anime del partito salgono a galla e non sempre in accordo tra loro. In Transatlantico al Senato ci si chiede che intenzioni abbia Matteo Renzi, si guarda a Nicola Zingaretti e si fanno ipotesi su Paolo Gentiloni. Alla Camera si mormora contro l’area di Andrea Orlando e Cesare Damiano che presenta in conferenza stampa un pacchetto di proposte di legge da “offrire” al Pd con cui si prevede di modificare il Jobs act e, di fatto, di votare a favore della ‘quota cento’ per le pensioni voluta dall’esecutivo M5s a patto di alcune modifiche.
L’ora della verità scocca sabato 7 luglio all’hotel Ergife di Roma quando i mille delegati saranno chiamati per la seconda volta a votare per un nuovo segretario (o per la conferma di Maurizio Martina) oppure per il congresso (breve, lungo o costituente). Chi più ne ha, più ne metta. Se da un lato Orlando, Emiliano e Cuperlo vorrebbero il congresso subito, l’area renziana si interroga su che senso avrebbe aprirlo in un momento di ‘sbandamento’ quando ancora non si sa bene dove andare. Al momento infatti gli unici a essere quasi usciti allo scoperto sono Martina che vorrebbe essere confermato segretario con pieni poteri e Zingaretti che vorrebbe essere incoronato dopo il congresso. Il nome di Gentiloni aleggia nell’aria ma soltanto in caso di primarie più in là, magari nel 2019 – e l’ex premier comunque non si è mai pronunciato in proposito -. Mentre quello di Graziano Delrio resta sullo sfondo. Per ora si sa che Matteo Renzi non intende tornare in prima linea nel Pd almeno per qualche anno. E c’è chi tra i parlamentari pensa alle altre strade che potrebbero aprirsi per l’ex segretario, da una nuova formazione politica a un futuro in Europa.