Da settant’anni Siena era la più rossa delle roccaforti. Per non parlare poi di Pisa o Imola: tutti fortini inespugnabili. Almeno un tempo, perché il 2018 sarà ricordato come l’anno della perdita di ogni certezza per la ‘gauche’ italiana. A furia di aggregare e sperimentare, il Pd sembra aver perso l’orientamento e, di conseguenza, il suo elettorato non riesce più a riconoscersi in un una politica precisa, delineata. Di sinistra, in poche parole. Tratti caratteristici che avevano fatto di Massa, della Toscana o dell’Emilia dei porti sicuri in cui trovare riparo, anche quando il mare aperto della politica era in tempesta. Un mondo che non esiste più.
La condizione in cui versa la sinistra oggi ha origini molto lontane, forse nei tempi della caduta del Muro di Berlino, cui seguì la ‘svolta della Bolognina’ con Occhetto e la fine della stagione del Partito comunista italiano. La nascita del Pds (acronimo di Partito democratico della sinistra) fu il primo tentativo di aprire i propri orizzonti al mondo centrista, ma il mix tra una gestazione troppo corta e il peso schiacciante dell’inchiesta ‘mani pulite’ sul sistema partitico, finì con lo spalancare solo le porte alla novità ‘anti-sistema’ di Forza Italia e del suo leader, Silvio Berlusconi, ‘l’uomo del fare’ che lasciava l’imprenditoria e la società civile per occuparsi della Cosa pubblica. Un alieno in un meccanismo che fino a quel momento aveva rifiutato ‘corpi estranei’. Per combatterlo la sinistra provò a fare squadra con tutti, finanche con l’alleato del Cav, il leghista Umberto Bossi.
Solo nel 1996, però, nacque ufficialmente il centro-sinistra (col trattino), con la creazione dell’Ulivo e la candidatura di Romano Prodi a Palazzo Chigi. In quell’esperimento si fusero l’anima post comunista (i Progressisti) e una grossa fetta dell’ala riformista della Democrazia cristiana. Al di là della vittoria del Professore alle elezioni politiche, nel giro di pochi mesi l’impianto crollò sulle dispute interne, tanto che l’ex presidente dell’Iri fu costretto a cedere il posto a Massimo D’Alema già al secondo anno da premier. I ramoscelli, poi, seccarono definitivamente entro la fine della legislatura, che si concluse con un terzo presidente del Consiglio, Giuliano Amato.
Il nuovo tentativo di aggregazione del centrosinistra (senza trattino) è datato 2006. A guidarlo fu sempre Romano Prodi, che tenne a battesimo ‘l’Unione’, nata dall’alleanza di ben 15 partiti tra radicali e moderati: dall’Ulivo all’Italia dei valori, dalla Rosa nel Pugno di Pannella ai Verdi, al Partito dei Comunisti Italiani, Rifondazione Comunista, l’Udeur, socialisti, pensionati, repubblicani, ma anche Südtiroler Volkspartei, Italia di mezzo e Partito socialista democratico italiano. Le urne consegnarono la vittoria numerica al Prof, ma con uno scarto di soli 24 mila voti: troppo pochi per garantire la stabilità al governo, che infatti cadde due anni dopo, in seguito alle dimissioni dell’allora ministro della Giustizia, Clemente Mastella, che ritirò il suo appoggio e quello dei suoi uomini all’esecutivo al Senato in un turbolento pomeriggio dell’aprile 2008.
Pochi mesi prima, dalla fusione tra Ds e Margherita, era nato il Partito democratico, il cui primo segretario fu Walter Veltroni. Alla prova delle Politiche 2008, però, il Pd perse rovinosamente (pur portando a casa un onorevole 33%) contro il Popolo della libertà di Silvio Berlusconi, che guadagnò oltre 100 parlamentari di vantaggio sugli avversari. Sconfitta figlia soprattutto dell’alleanza last minute con l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro. L’ex sindaco di Roma fu costretto a mollare nel 2009, dopo il ko alle comunali di Roma (Rutelli capitolò contro Alemanno al ballottaggio) e la debacle alle Regionali.
Cinque anni più tardi, con Pier Luigi Bersani in tolda di comando, il Pd mise insieme la coalizione Italia bene comune, con Sel di Nichi Vendola, Centro democratico di Tabacci, il Psi di Nencini, il Megafono di Rosario Crocetta, i verdi, gli autonomisti trentini e diverse altre sigle, ma non Scelta civica di Mario Monti, il premier uscente, con il quale si aprì un vero e proprio ‘balletto’ per mesi. Il risultato fu comunque in linea con quelli degli anni precedenti, tanto che il leader pronunciò una frase rimasta famosa: “Siamo primi, ma non abbiamo vinto”. Anche l’ex ministro dello Sviluppo economico dovette rassegnare le dimissioni a pochi mesi dalla scadenza naturale del suo mandato. Al suo posto arrivò così Matteo Renzi, il ‘rottamatore’, che ha condotto il Pd fino ai giorni nostri subendo anche la scissione di un pezzo della sua classe dirigente, confluita in Liberi e uguali. Il 4 marzo scorso, in corsa con l’ex Forza Italia-Pdl-Ncd-Ap, Beatrice Lorenzin, fondatrice di Civica popolare, +Europa-Centro democratico di Bruno Tabacci e Emma Bonino e la lista Insieme, il Partito democratico ha perso le elezioni contro il Movimento 5 Stelle e la coalizione di centrodestra a trazione leghista. Un trend negativo che si è riversato anche sulle elezioni amministrative e i ballottaggi, dove i dem hanno perso alcune delle roccaforti storiche. Come Siena, appunto: la più rossa di tutte.