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Pd, si va verso la “reggenza” e il congresso. Pioggia di “no” sull’alleanza con M5S

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Un partito che deve analizzare la più grave sconfitta della sinistra nel dopoguerra, un partito che deve darsi in fretta una nuova dirigenza e un percorso plausibile ed efficace verso il congresso, un partito che deve decidere con quale atteggiamento e quale disponibilità al dialogo partecipare alle trattative per la nascita del nuovo governo e, prima ancora, per le presidenze delle due Camere. Il Pd di questi giorni è tutto questo e, insieme, un groviglio di emozioni, di tensioni, di ragionamenti politici in bozza che dicono tante cose e il loro contrario. Un partito che ha visto scappare oltre 5 milioni di voti in tre anni, la maggior parte dei quali sono finiti ai 5Stelle, nemici durante tutta la campagna elettorale e, adesso, deve decidere abbastanza in fretta se andarsene all’opposizione e basta, se andarsene all’opposizione e partecipare comunque alla fase di convulse trattative cui assisteremo nelle prossime settimane o se, addirittura, cercare di giocare un ruolo in queste trattative come ago della bilancia che potrebbe rendere possibile un governo.

Renzi, oggi, ha taciuto e non si sa nemmeno se sarà presente alla Direzione in programma lunedì prossimo (ore 15) al Nazareno. “Lunedì la direzione individuerà una reggenza” dice il portavoce del Pd Matteo Richetti, a #cartabianca su RaiTre. Matteo Renzi ci sarà? “Io non lo so. Se non ci sarà, sarà la dimostrazione che il passo indietro è anche fisico”. Ecco, dunque, una prima risposta al problema che ha agitato le ultime 36 ore: Renzi ha dato davvero le dimissioni? Assolutamente sì, dice Matteo Orfini. “Matteo Renzi – ha spiegato il presidente Pd – si è formalmente dimesso lunedì. Come da lui richiesto nella lettera di dimissioni, e come previsto dallo statuto, ho immediatamente annunciato la convocazione dell’assemblea nazionale per gli adempimenti conseguenti. Continuare a discutere di un fatto ormai avvenuto – le dimissioni del segretario – come non vi fossero state non ha molto senso”. Probabilmente, però, il segretario parteciperà alla fase politica delle prossime settimane dentro o fuori allo strumento politico e organizzativo che prende il nome di “reggenza”.

L’altra questione è se il Pd andrà all’opposizione e da lì cercherà di ricostruirsi, darsi un nuovo progetto politico provando ad aderire di nuovo alle pieghe e alle esigenze della società italiana o se si renderà disponibile a partecipare a una maggioranza di governo. La questione è emersa subito dopo l’annuncio delle dimissioni di Matteo Renzi. La minoranza che fa capo al governatore della Puglia Michele Emiliano ha obiettato che sarebbe sbagliato chiudersi in particolare nei confronti del M5S dove sono approdati una gran parte degli ex elettori dem. Anche il leader dell’opposizione interna Andrea Orlando è sembrato muoversi su questa linea, ma poi, oggi, ha precisato: “Non possiamo fare alleanze con il centrodestra o con la Lega perché abbiamo programmi incompatibili. Stesso discorso per il M5S. Non si dice, come fa qualche mio collega di partito, che non si fa alleanza perché si è stati trattati male: in campagna elettorale ci si offende e poi si va avanti. Semplicemente, non ci sono le condizioni per questa alleanza”. Lo stesso Renzi ha invitato a uscire allo scoperto chi pensa che il governo con M5S sia una cosa auspicabile o fattibile.

Quanto al tema delle dimissioni di Renzi, Orlando ha precisato: “Non mi sembra ci sia bisogno del voto di fiducia. Renzi si è dimesso, abbiamo chiesto chiarimenti in merito a questa fase. Le cose sono due: o uno non si dimette perché legittimamente ha vinto le primarie e non si ritiene responsabile, o uno si dimette e si deve trovare un altro assetto. Io credo che le cose si vadano a incanalare in questo senso. Penso ci sarà una sorta di reggenza o di gestione collegiale. Altrimenti è una cosa che non sta in piedi: il nostro statuto non prevede che uno si dimetta dopo la formazione del governo. Si va a una direzione in cui la relazione sarà fatta dal vicesegretario”. Ed è infatti quasi certo che sarà il vicesegretario Martina a introdurre i lavori di lunedì pomeriggio.

Sul tema del rapporto con M5S si sono espressi, tutti in senso negativo, anche Anna Finocchiaro, il parlamentare europeo Daniele Viotti, Ivan Scalfarotto e il neo iscritto Carlo Calenda che, in mattinata, aveva fatto sapere che la sua iscrizione sarebbe stata la più breve della Storia se il Pd si fosse messo “nella logica di alleanze con il M5S”. E a #cartabianca, Matteo Richetti ha risposto così a una domanda in merito posta da Bianca Berlinguer e  Enrico Mentana: “Non ci sarà un’alleanza Pd-M5s perché sarebbe sbagliato, non per la tattica o la convenienza del Pd o del M5S, ma per la chiarezza che si deve agli elettori. E poi per fare che cosa? Per superare l’obbligatorietà dei vaccini? Per fare il referendum per uscire dal’euro?”.

Insomma, la prima settimana del Pd dopo la batosta elettorale sembra andare nella direzione di una “reggenza” al posto di Renzi e di una posizione iniziale nella trattativa per il nuovo governo che esclude accordi con il centrodestra e anche con la il M5S. Questo per cominciare. Si vedrà poi che evoluzione potrà esserci quando, forse, si comincerà a parlare di governi di scopo e/o di Grosse Koalition. Ma queste, si sa, sono le ultime spiagge. Prima di quelle ci proverà il centrodestra, (che, a quanto pare, andrà alle consultazioni quirinalizie con delegazion distinte), ci proverà in tutti i modi, il Moviemnto 5 Stelle che vorrebbe governare, ha bisogno di un alleato da almeno un centinaio di seggi alla Camera e una sessantina al Senato e non sa bene dove trovarlo.

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