Il Pd sta all’opposizione e punta sul dialogo in Parlamento. I democratici ripartono dalla decisione presa all’unanimità nella direzione convocata dopo la sconfitta del 4 marzo per ribadire che non ci sarà un Aventino né è all’ordine del giorno un referendum tra gli iscritti per decidere un sostegno a un governo di diverso colore, magari pentastellato. E’ questa la linea che emerge dalla prima segreteria convocata da Maurizio Martina al Nazareno e immortalata in una foto che vale più di mille dichiarazioni: tavolo lungo con 14 persone attorno, fra le quali si vedono Matteo Richetti, Lorenzo Guerini, Ettore Rosato, Tommaso Nannicini. Una scelta che conferma la volontà di una “leadership collegiale”, come aveva avuto modo di dire lo stesso reggente a Cuperlo e Orlando, sebbene la composizione della segreteria sia ancora quella ‘uscente’.
Tramonta l’idea, mai decollata per la verità, di una consultazione diretta della base per decidere il da farsi. Rosato chiarisce infatti la sua posizione e spiega che non avrebbe senso un referendum quando ancora manca l’oggetto della stessa consultazione, come a dire: ogni ipotesi di governo è un azzardo, almeno finché non si conosceranno presidenze e vicepresidenze delle Camere. Prima, nel Pd, ci sono due nodi delicati da affrontare sui quali il partito rischia di spaccarsi tra renziani di stretta osservanza e non: la scelta dei capigruppo e la partita a scacchi sulla composizione degli uffici di presidenza. Giovedì è fissata la prima assemblea di tutti gli eletti, senatori e deputati, per fare il punto politico della situazione, a cui dovrebbe partecipare anche Matteo Renzi. Ma l’elezione dei capigruppo dovrebbe avvenire soltanto a inizio della prossima settimana, anche se i nomi con ogni probabilità si conosceranno prima.
Per ora restano in pole Lorenzo Guerini alla Camera e Andrea Marcucci al Senato, pure se gli orlandiani non sembrano gradire quest’ultimo nome. Ecco perché paradossalmente, diventa importante anche la partita sulle cariche istituzionali di vicepresidenti e questori delle Camere: se uno di questi incarichi andasse alla minoranza orlandiana, per esempio, potrebbe diventare più accettabile avere due capigruppo renziani. Ecco perché l’elezione dei presidenti dei gruppi Pd potrebbe slittare a inizio della prossima settimana, prima bisognerà vedere cosa succede venerdì 23 nelle aule parlamentari. Nel totonomi delle cariche intanto spuntano Anna Rossomando e Monica Cirinnà, due parlamentari vicine al ministro Andrea Orlando. Mentre come vicepresidente a Montecitorio non è escluso Ettore Rosato. Proprio i renziani potrebbero rivendicare un posto alle presidenze delle commissioni che di solito spettano all’opposizione – Copasir e Vigilanza Rai – e ci sono poi quelle della Giunta per le elezioni e le Autorizzazioni a procedere.
La figura di Martina, intanto, avanza come quella che potrebbe essere confermata nell’assemblea di metà aprile – consultazioni del Colle permettendo – per portare il partito al congresso con le primarie. Il reggente non si tira indietro e, in parallelo con la gestione collegiale del Pd, porta avanti una sua campagna con dichiarazioni e proposte, dall’assegno universale per le famiglie con figli alla presa di posizione sulla violenza alle donne fino allo schierarsi apertamente con ‘i giovani dei bus della speranza’. “Da lì dobbiamo ripartire, con umiltà”, scrive sui social network. Martina sarà a Foggia alla marcia di Libera contro le mafie.
Sul medio periodo, invece, si affaccia la figura di Nicola Zingaretti che pubblica il suo ‘manifesto’ per il centrosinistra, mettendosi di fatto in corsa per eventuali future primarie. Zingaretti chiede al suo partito di rigenerarsi e di avere “coscienza che l’elettorato che si è spostato sui vincitori è in grande parte un nostro elettorato che progressivamente dobbiamo saper riconquistare e con il quale dobbiamo instaurare un dialogo”. Insomma, un invito ad aprirsi se non altro verso l’elettorato M5S, apertura che pone il governatore del Lazio in aperto conflitto con Matteo Renzi che ancora ha la maggioranza relativa nei gruppi di Camera e Senato. E le due ‘fazioni’ contrapposte nel Pd potrebbero avere proprio in queste due figure – Zingaretti e Renzi – il loro simbolo.