A pochi giorni dall’assemblea nazionale in cui il Pd dovrà fare i conti con se stesso, il primo segretario Dem fa arrivare un messaggio al suo partito: “Ciò che abbiamo faticosamente unito non è giunto al suo compimento. Credo fortemente, decisamente e pervicacemente il contrario”. In queste parole pronunciate da Walter Veltroni nella sala Aldo Moro di Montecitorio nel corso del convegno dedicato a Roberto Ruffilli si sente la preoccupazione e la speranza del padre (nobile) per la sua creatura.
Proprio quando è più vicino il rischio di una trasformazione irreversibile che riporti il Pd alle due vecchie componenti da cui trae origine – una più di centro come la Margherita e una di sinistra, i Ds – Veltroni richiama tutti ai valori fondanti del Pd e sottolinea che serve una “sintesi nuova e originale”: le diverse tradizioni e forze da cui il partito è composto devono creare un’unità che non sia mera “giustapposizione”. Perché mai come in questo momento “grave e grottesco” della politica, il Paese ha bisogno di una “grande forza riformista” in grado di intercettare il disagio sociale e dare vita a una “democrazia governante”, attraverso il compimento delle riforme istituzionali, percorso interrotto dal referendum del 4 dicembre 2016. Veltroni individua però una “singolare contraddizione”: a uno spazio da riempire mai prima d’ora così grande, sembra non corrisponda da parte del Pd “l’intelligenza, la saggezza, lo spirito unitario, la coscienza della grandezza della missione”.
Dall’altra parte, l’ex sindaco di Roma vede la pochezza di chi parla di Seconda Repubblica quando, dice, “siamo ancora nella lunga crisi della Prima, di Seconda Repubblica si può parlare soltanto se vi è un cambio di assetto istituzionale”. Chi vuol intendere, intenda. Intanto il partito si prepara all’opposizione in Parlamento, a cominciare dalle due misure di Welfare proposte dai capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci: l’estensione del reddito di inclusione e l’assegno unico per le famiglie. Misure che, sottolinea il segretario reggente Maurizio Martina, con 4 miliardi potrebbero portare vantaggi immediati alla popolazione già dalla prossima legge di Bilancio prevista per l’autunno, mentre il pacchetto di misure del M5S potrebbe entrare a regime soltanto dal 2021. Oltre a questo aspetto, la situazione partitica è chiara: all’assemblea di sabato si confronteranno due linee, quella di Martina e quella renziana. Se vince la linea Martina lui viene eletto segretario. Se vince la ‘linea Rosato’ (e dei renziani) sabato viene indetto il congresso e di conseguenza Martina e tutta la segreteria decadono. Restano in carica il presidente Matteo Orfini, la Direzione e il tesoriere Francesco Bonifazi a cui va aggiunta la commissione congressuale. Dalla sua Martina ha probabilmente l’appoggio di Dario Franceschini e Andrea Orlando, resta da vedere se avrà anche i numeri. In assemblea i renziani erano il 67 per cento su un migliaio di delegati, dopo i vari passaggi bisogna verificare quanti sono rimasti.