Afzal Hussain, un richiedente asilo pakistano di 30 anni, la sera del 6 ottobre del 2016 bruciò viva l’amica Lamiae Chriqui, 28 anni di origini marocchine, nella sua casa a Sammommè, frazione di Pistoia. Oggi è stato condannato, con rito abbreviato, a 20 anni di carcere dal gup del tribunale di Pistoia, Alessandro Buzzegoli, che è andato oltre la pena chiesta dal pm Giuseppe Grieco, che era 16 anni.
L’imputato è stato riconosciuto colpevole di omicidio volontario e incendio doloso in continuità. Esclusa l’aggravante dei futili motivi perché il movente non è chiaro. Per l’accusa, il trentenne pakistano aveva ucciso per motivi abietti e lo aveva fatto in un modo che aveva causato atroci sofferenze alla vittima. Sempre secondo gli inquirenti, l’unica colpa della giovane marocchina, che viveva con il marito a Sammommè, era stata quella di non aver ceduto alle lusinghe amorose di quell’uomo che lei e il marito consideravano un amico.
Huassin, nella ricostruzione fatta dall’accusa, aveva scatenato la sua furia, quando, dopo essere stato respinto, aveva aggredito la giovane donna, prima picchiandola ripetutamente al volto, poi accoltellandola a una mano, amputandole un dito. Lamiae si era difesa graffiandolo, ed era riuscita a divincolarsi e a rifugiarsi in bagno. A quel punto Hussain aveva preso la bombola del gas che si trovava in cucina, l’aveva piazzata davanti alla porta del bagno, aveva aperto il rubinetto e aveva appiccato il fuoco con l’accendino prima di scappare in strada
Dopo un’iniziale confessione poi ritrattata davanti al gip, e rinnovata in un successivo interrogatorio davanti al pm, Hussain aveva sostenuto di aver perso la testa non per motivi passionali, ma perché Lamiae non gli voleva rendere il passaporto che, a suo dire, gli aveva “confiscato” per via di un debito. Il marito di Lamiae, Jamal Mouttadakkil, 48 anni, parte civile nel processo, dopo la lettura della sentenza ha inveito contro il pakistano. fb