Ventiquattro anni di carcere. È la condanna inflitta dai giudici della Terza Corte d’Assise di Roma, presieduta da Evelina Canale, nel processo a Valentino Talluto, il 33enne sieropositivo accusato di aver infettato decine di persone con rapporti non protetti. La decisione, arrivata dopo oltre dieci ore di camera di consiglio, è stata pronunciata nell’aula bunker di Rebibbia: presenti oltre all’imputato le ragazze vittime dell’infezione che si sono costituite parte civile.
La procura di Roma chiedeva per l’imputato l’ergastolo con due anni di isolamento diurno. “Questa sentenza fa giurisprudenza perché non c’è mai stato alcun precedente in materia – sostiene la pm Elena Neri – anche perché nessuno ha mai fatto quello che ha fatto Talluto”.
Secondo la sentenza, Talluto è colpevole di lesioni gravissime nei confronti delle vittime del contagio da hiv, ma non di epidemia dolosa, come chiesto dalla procura. Quella di Talluto è stata “leggerezza” e “stupidità” ma “non voleva diffondere il virus” e, in ogni caso “il suo fine pena mai l’ha già avuto perché rimarrà per tutti ‘l’untore'”, sostengono Maurizio Barca e Tiziana De Biase, legali del 33enne. È “autore di una strage sociale, causata da una efferata sregolatezza nella quale lui era assolutamente consapevole che con rapporti non protetti avrebbe contagiato le sue partner”, sostiene invece Irma Conti, difensore di parte civile, secondo la quale l’imputato ha colpito le sue vittime con “diabolica programmazione, contagiandole e conoscendo benissimo il modo per trasmettere il virus, come evitarlo, e conoscendone la portata lesiva”.
A Talluto erano attribuiti 57 episodi legati ad altrettante persone. Si faceva riferimento a una trentina di donne, tutte tra i 20 e i 30 anni, che l’uomo avrebbe infettato con rapporti sessuali.