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Promozioni/retrocessioni negli USA: la Fifa non ci sente

 Forti con i deboli e deboli con i forti. E’ un assunto che si potrebbe ben applicare alla singolare vicenda che vede protagonista la FIFA e il sistema delle promozioni/retrocessioni nei campionati americani, alla luce della sentenza dello scorso 3 febbraio con cui il Tribunale dello Sport di Losanna (TAS) ha respinto il ricorso presentato nel 2017 da due club di seconda divisione, Miami FC e Kingston Stockade FC, nei confronti della US Soccer Federation, della CONCACAF e della FIFA, per fare dichiarare l’obbligatorietà anche negli USA di tale principio. L’Articolo 9 del Regolamento sulla applicazione degli statuti FIFA prevede che l’accesso ad un campionato possa avvenire soltanto per meriti sportivi, un principio universale applicato in tutte le Federazioni affiliate tranne che negli Stati Uniti e in Australia.

Mentre nei confronti della Federazione Australiana, però, la FIFA ha cercato di imporre l’adozione delle promozioni e retrocessioni (motivando che tale regola è obbligatoria per il gioco del calcio), non altrettanto rigida è stata con la Federazione americana. Questo nonostante lo stesso presidente della FIFA Gianni Infantino, nel corso di una recente visita negli Stati Uniti dal presidente Donald Trump, abbia ribadito di credere “nel sistema di promozione e retrocessione” e “nella competizione”. Allo stesso tempo, alla domanda se la FIFA potrebbe costringere la Federazione americana ad adeguarsi, il numero 1 del calcio mondiale è sembrato lavarsene le mani. “Sono autorizzato a parlare con le persone e a spingere, ma loro (la Federcalcio Usa, ndr) sono liberi di decidere quello che vogliono”, ha replicato.

Una risposta singolare, che sembra cozzare con la sentenza del TAS sul caso Miami FC, in cui al paragrafo 194 si legge che è proprio la FIFA (e non la Federazione Americana) ad avere la discrezionalità e il potere di applicare o meno la regola di promozioni e retrocessioni in USA. Lo stesso Tribunale, però, alla fine ha respinto il ricorso del club presieduto da Riccardo Silva sostenendo che l’Articolo 9 della FIFA, nonostante la sua formulazione apparentemente obbligatoria, non impone di applicare promozioni e retrocessioni anche negli Stati Uniti. La giustificazione sarebbe che il sistema del calcio americano avrebbe connotazioni diverse (è così anche negli altri sport professionistici come la NBA, la NFL e la NHL), ma c’è da chiedersi se tale diversità sia ancora attuale dopo un Mondiale già ospitato nel 1994 e un nuovo Mondiale assegnato per il 2026 (con Messico e Canada), e visto lo sviluppo oramai consolidato delle leghe professionistiche di calcio ben organizzate anche negli USA.

“Rispettiamo la sentenza del TAS – ha detto Silva in una nota – ma crediamo ancora che un sistema aperto e basato sul merito apporterebbe grandi benefici alla qualità del gioco e creerebbe un calcio inclusivo, competitivo e non discriminatorio negli Stati Uniti”. Vincere un campionato e ottenere la promozione ad una serie superiore è l’essenza stessa del calcio, in Italia e in Europa sarebbe impensabile un sistema diverso. Non a caso, la proposta avanzata in tempi non sospetti di una Superlega europea chiusa, ha immediatamente scatenato la reazione delle leghe nazionali e dei presidenti dei club che ne sarebbero esclusi. Perchè anche una squadra come l’Atalanta può sognare un giorno di giocare in Champions League, cosa poi avvenuta. Non è così negli USA, dove se vuoi giocare nella MLS devi pagare 200 milioni di dollari e non importa se l’anno prima hai vinto un campionato… Ma questo è calcio?

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