Reati in calo e concentrati nelle aree metropolitane, ma si moltiplicano le paure e la sensazione di insicurezza. Il 31,9% delle famiglie italiane percepisce il rischio di criminalità nella zona in cui vive. È quanto emerge dal 1° Rapporto sulla filiera della sicurezza in Italia realizzato dal Censis con Federsicurezza. Nel 2017 sono stati denunciati complessivamente 2.232.552 reati, diminuiti del 10,2% rispetto all’anno precedente. In particolare, gli omicidi si riducono dai 611 del 2008 ai 343 dell’ultimo anno (-43,9%), le rapine passano da 45.857 a 28.612 (-37,6%) e i furti scendono da quasi 1,4 milioni a poco meno di 1,2 milioni (-13,9%). La concentrazione dei reati in alcune zone amplifica però le paure. In sole quattro province italiane, dove vive il 21,4% della popolazione, si consuma il 30% dei reati. Capitale del crimine è Milano, al primo posto con 237.365 reati commessi nel 2016 (il 9,5% del totale), poi Roma (con 228.856 crimini, il 9,2%), Torino (136.384, pari al 5,5%) e Napoli (136.043, pari al 5,5%). Anche considerando l’incidenza del numero dei reati in rapporto alla popolazione, Milano resta in vetta alla classifica, con 7,4 reati denunciati ogni 100 abitanti, seguita da Rimini (7,2), Bologna (6,6), Torino e Prato (entrambe con 6 reati ogni 100 abitanti).
Invece, le percentuali più alte, della percezione del rischio di criminalità, si registrano al Centro (35,9%) e al Nord-Ovest (33%), ma soprattutto nelle aree metropolitane (50,8%), dove si sente insicuro un cittadino su due. La criminalità – sottolinea ancora l’indagine del Censis – continua ad essere ritenuta un problema grave per il Paese, segnalato dal 21,5% degli italiani, al quarto posto dopo la mancanza di lavoro, l’evasione fiscale e le tasse eccessive. Ad essere più preoccupate sono le persone con redditi bassi, che vivono in contesti più disagiati e hanno minori possibilità di utilizzare risorse economiche personali per l’autodifesa: per loro la criminalità diventa il secondo problema più grave del Paese (segnalato dal 27,1%), dopo la mancanza di lavoro.
Cresce la voglia di sicurezza ‘fai da te’. Il 39% degli italiani è favorevole all’introduzione di criteri meno rigidi per il possesso di un’arma da fuoco per la difesa personale. Il dato è in netto aumento rispetto al 26% rilevato nel 2015. Più favorevoli sono le persone meno istruite (il 51% tra chi ha al massimo la licenza media) e gli anziani (il 41% degli over 65 anni). Aumenta il numero degli italiani che possono sparare: nel 2017 nel nostro Paese si contavano 1.398.920 licenze per porto d’armi, considerando tutte le diverse tipologie (dall’uso caccia alla difesa personale), con un incremento del 20,5% dal 2014 e del 13,8% solo nell’ultimo anno. La crescita più forte si è avuta per le licenze per il tiro a volo (sono quasi 585.000: +21,1% in un anno), più facili da ottenere. Si può ritenere che oggi complessivamente c’è un’arma da fuoco nelle case di quasi 4,5 milioni di italiani (di cui 700.000 minori).
Il 92,5% degli italiani adotta almeno un accorgimento per difendersi da ladri e rapinatori. Il più utilizzato è la porta blindata, che protegge dalle intrusioni le case di oltre 33 milioni di italiani (il 66,3% della popolazione adulta), 21 milioni di cittadini (il 42%) si è dotato di un sistema d’allarme, più di 17 milioni (il 33,5%) hanno montato inferriate a porte e finestre, quasi 16 milioni (il 31,3%) hanno optato per vetri e infissi blindati, più di 15 milioni (il 30,7%) hanno installato una telecamera, poco meno di 10 milioni (il 19,4%) hanno comprato una cassaforte per custodire i propri beni. Per precauzione lasciano le luci accese quando escono di casa – sempre secondo il Censis – poco meno di 15 milioni di italiani (il 29%).