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Recovery, Draghi incassa l’ok delle Camere: Ora lavoriamo insieme, dall’Italia dipende la scommessa della Ue

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Il Piano nazionale di ripresa e resilienza firmato Mario Draghi incassa l’ok di Camera (442 voti a favore) e Senato (224 sì). Prima dell’invio definitivo a Bruxelles, previsto entro il 30 aprile, il testo dovrà passare in una nuova riunione del Consiglio dei Ministri per l’ok finale. Il passaggio parlamentare non registra particolari turbolenze, anche se le rivendicazioni che, nella lunga maratona tra Montecitorio e palazzo Madama, arrivano da deputati e senatori, a sera, inducono il premier quasi a ‘bacchettare’ i partiti: “Guardate che oggi è un giorno positivo, non è una cosa su cui dispiacersi. E’ positivo per l’Italia”, ironizza. Alla fine il pallottoliere non riserva sorprese: i numeri della maggioranza sono blindati e anche Fratelli d’Italia, dopo le polemiche sul mancato coinvolgimento delle Aule, decide di astenersi. Votano contro solo Sinistra italiana e Alternativa c’è.

Certo l’attacco che Giorgia Meloni rivolge al premier è preciso: “Il Parlamento su questo piano, forse il documento più importante della storia repubblicana, è stato ignorato, permettemi di dire, è stato deriso”, accusa. Draghi non la pensa così. Non c’è nessun “garantisco io”, (“non l’ho mai detto, non è nel mio stile”, precisa), ci sarà piuttosto un costante coinvolgimento di Camera e Senato e, soprattutto, degli enti locali, ai quali spetta – sottolinea il premier – “la sfida più difficile” della messa a terra dei progetti e del corretto utilizzo delle risorse. “Il dialogo non è finito qui, il contributo che il Parlamento può dare al piano è solo all’inizio, perché le riforme contenute saranno adottate con strumenti legislativi” sui quali Camera e Senato avranno “un ruolo determinante”, sottolinea. Comuni e Regioni, poi, insiste, “sono i veri attuatori del Piano e devono avere un ruolo centrale perché hanno la massima contezza dei bisogni del territorio”. Quanto ai tempi, Draghi riconosce come “indubbiamente” fossero “ristretti”. Nessuna scelta a favore di telecamere, però. “La scadenza del 30 aprile non è mediatica, ma se si arriva prima si accede ai fondi prima”, sottolinea. La vera sfida, per il premier, però, comincia adesso: “Dobbiamo lavorare insieme. Con il Parlamento, con gli enti locali con il popolo italiano. Il piano è attuabile solo se c’è volontà di successo e non di sconfitta”. Di più. Il Recovery plan, ricorda, “nasce da una scommessa collettiva in Europa sulla capacità di spendere bene il denaro e l’Italia è in prima fila. Saremo responsabili del successo o della perdita di questa scommessa”, azzarda.

Gli alleati gongolano, a partire da Matteo Salvini. “Grazie per l’autorevolezza che sta restituendo all’Italia. Il fatto che lei abbia alzato il telefono per chiedere rispetto mi ha reso orgoglioso parlamentare e cittadino di questo Paese. Qualcuno fino a pochi mesi fa prendeva ordini da Merkel, ora la musica è cambiata”, mette in chiaro punzecchiando ancora una volta Giuseppe Conte. Agli alleati, poi, il leader del Carroccio manda un messaggio chiaro: “La Lega c’è. Noi siamo alleati leali, ‘purtroppo’ dice qualcuno a sinistra. Se qualcuno pensa di buttarci fuori ha sbagliato a capire – scandisce – Noi qua siamo e qua rimaniamo”. I rapporti dentro la maggioranza, insomma, restano tesi. Il Pd e il M5S invitano gli alleati leghisti a non “fare battaglie su questioni già risolte”, come quella relativa al coprifuoco. Matteo Renzi rivendica il “casus belli” che ha portato alla fine del Governo di Giuseppe Conte e all’arrivo di Mario Draghi. “Ne valeva la pena – insiste – Adesso il piano ha un’anima e una visione”.

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