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Referendum sul Jobs act infiamma partita del voto. Renzi pronto

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Dopo il quello costituzionale, un altro referendum potrebbe trasformarsi in un voto pro o contro Matteo Renzi. È quello sul Jobs act, portato avanti dalla Cgil. Sarà la Corte costituzionale, l’11 gennaio prossimo, a vagliare l’ammissibilità dei quesiti che riguardano il reintegro e l’estensione dell’articolo 18, la cancellazione dei voucher, la reintroduzione della piena responsabilità solidale in tema di appalti. Dopo un eventuale via libera, la Consulta potrebbe fissare la data del voto fra il 15 aprile e il 15 giugno.

“La partita va risolta prima, il primo a saperlo è Renzi”, spiegano i dem. I parlamentari di stretta osservanza renziana sono pronti a scommettere che l’accelerazione della Consulta sia un motivo in più per “mettere una data di scadenza” al Governo Gentiloni e andare a votare “al più presto”. Già ad aprile, secondo i più  oltranzisti (così “da avere un nuovo premier al G7”), massimo a giugno, per i più. Sarebbe una via d’uscita. Elezioni politiche e referendum, infatti, per legge, non possono tenersi contestualmente e i quesiti referendari andrebbero congelati e spostati di un anno.

Avesse una ‘fiche’, sembrerebbe scommettere su questa possibilità anche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. “Mi sembra che l’atteggiamento prevalente sia quello di andare a votare presto, quindi prima del referendum sul Jobs Act”, si lascia scappare a margine del voto di fiducia al Governo in Senato. Pronte le repliche delle forze politiche e non solo. “Più che invocare le urne per evitare il referendum si lavori subito per modificare il jobs act. Sui voucher in modo particolare è esplosa una nuova precarietà sulla quale è doveroso intervenire”, tuona Roberto Speranza, voce della minoranza dem, mentre la Cgil accusa il Governo di mostrare “poco coraggio”.

E se il ministro precisa che le sue parole altro non sono che “l’ovvia constatazione” che, qualora si andasse ad elezioni politiche anticipate, la legge prevede un rinvio dei referendum e non “un’ipotesi ‘invocata’, la questione anima il Pd, alle prese con l’assemblea nazionale che si terrà domenica a Roma, appuntamento alle 10 all’hotel Ergife. L’ordine del giorno prevede una quanto mai vaga “analisi della situazione politica e determinazioni conseguenti”. I dubbi crescenti sull’anticipazione del congresso non riguardano l’idea, diffusa nella maggioranza che sin qui tiene dentro Area dem di Franceschini, Giovani Turchi di Orlando e Orfini, e Sinistra nuova di Martina, che si debba andare a votare il più presto possibile”. Cambiare la legge elettorale e andare alle urne, è il mantra.

Si può fare in poco tempo?  “Se c’è la volontà politica dei partiti si può fare. Certo non può diventare l’argomento su cui costruiamo un prolungamento artificioso della legislatura”, chiarisce Lorenzo Guerini. Il Pd, assicura, non è disponibile a “perdere tempo”. Fatta la legge elettorale e affrontati gli impegni internazionali, “si può andare a votare”.

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