La procura di Roma prende le distanze dal Cairo e iscrive cinque persone nel registro degli indagati in riferimento all’inchiesta legata alla morte di Giulio Regeni. Si tratta di ufficiali appartenenti al dipartimento di Sicurezza nazionale (servizi segreti civili) e all’Ufficio di investigazione giudiziaria del Cairo (polizia investigativa): rispondono tutti di sequestro di persona in concorso.
La decisione del procuratore capo Giuseppe Pignatone e del sostituto procuratore Sergio Colaiocco era stata annunciata dopo l’incontro avvenuto la scorsa settimana al Cairo, e nonostante da Roma si ribadisca la volontà di proseguire la collaborazione con i colleghi egiziani, di fatto le indagini prendono, per la prima volta, strade diverse. A piazzale Clodio si vuole andare a fondo su quanto emerso dalle analisi effettuate sui tabulati telefonici, la procura cairota non ne ha alcuna intenzione, e anzi chiede chiarimenti sul visto usato dal ricercatore per la sua permanenza in Egitto.
La notizia dell’iscrizione dei primi indagati viene accolta con favore dalla famiglia del giovane, che da 33 mesi si batte senza sosta per arrivare alla verità sull’omicidio. Sulla vicenda interviene anche il ministro dell’Interno Matteo Salvini che afferma: “Da italiano e da padre aspetto nomi e cognomi dei colpevoli”.
Giulio Regeni sparì la sera del 25 gennaio 2016: il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria alla capitale egiziana. Da oltre un anno gli inquirenti, grazie agli incroci sui dati dei tabulati telefonici, hanno individuato le cinque persone presumibilmente coinvolte nel sequestro. Dalle verifiche è emerso che il ricercatore friulano era attenzionato da polizia e servizi segreti già settimane prima del rapimento.
Inoltre sono stati dimostrati numerosi contatti telefonici tra gli agenti che si occuparono di tenere sotto controllo Giulio tra dicembre 2015 e gennaio 2016, e gli ufficiali della National Security coinvolti nella sparatoria con la presunta banda di criminali uccisi il 24 marzo 2016 a cui gli egiziani provarono ad attribuire l’omicidio. I documenti di Giulio furono trovati quello stesso giorno in casa della sorella del capo della presunta banda e si disse che i cinque erano legati alla morte del giovane.
A distanza di quasi tre anni dall’omicidio, chi indaga in Italia è convinto che Giulio sia stato torturato e ucciso dopo esser stato segnalato come spia ai servizi segreti dal sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah, con il quale era entrato in contatto per i suoi studi.
Abdallah chiedeva a Giulio di poter usare a fini personali, in modo illegale, una borsa di studio che il giovane, grazie a una fondazione britannica, voleva far arrivare al sindacato. La richiesta di Abdallah e la risposta di Giulio vennero immortalate in un video, girato dal sindacalista nel dicembre del 2015 con una telecamera nascosta, probabilmente su richiesta della polizia.
Secondo chi indaga, fu proprio il rifiuto di dare illegalmente quei soldi a segnare il destino del giovane: forse, quando Abdallah capì che non avrebbe ricevuto per sé almeno una parte delle diecimila sterline in ballo, decise di denunciare Giulio per accreditarsi con la National security come un informatore adeguato, e segnò la tragica fine del giovane.