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Renzi sfida M5S: Pd primo partito. Su confronto tv seguo regole

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Il confronto in Rai? “Mi attengo alle regole dello statuto, non cambio nemmeno una virgola: me ne sto fermo e buono”. Lo stallo sulle legge elettorale? “Ho perso il referendum e mi sono dimesso, non è che posso avere la colpa di quello che non hanno fatto gli altri”. Non cambia la strategia elettorale di Matteo Renzi in vista delle primarie del 30 aprile. L’ex premier rimane saldamente in testa nei sondaggi  e si tiene alla larga da ‘ring’ troppo caldi, che – è il ragionamento – rischierebbero di non aggiungere nulla se non di far perdere terreno. Il ‘nemico’, quindi, rimane il M5S, la partita da vincere quella delle politiche: “È il Pd il primo partito, siamo lì lì, ce la battiamo insomma”, azzarda.
Sulla legge elettorale il refrain è sempre lo stesso: sia chi diceva di essere in grado di fare una riforma costituzionale in sei mesi a fare una proposta. “Chi ha vinto il referendum non può solo dire di no – attacca Renzi – A me va bene la legge che dice Grillo, “, io la firmo domani mattina: via i capilista bloccati. Mi va bene anche l’Italicum al Senato, sono per il Mattarellum, ma a parte il sorteggio mi va bene tutto”.

Le parole dell’ex premier non piacciono ad Andrea Orlando. “Io sul #Consultellum esteso al #Senato non ci metto la firma. A @matteorenzi dico: no capilista bloccati, no #largheintese”, scrive su Twitter il ministro della Giustizia, ieri impegnato in campagna elettorale in Puglia. E anche i parlamentari che sostengono la sua mozione hanno già chiarito che non voterebbero l’estensione a palazzo Madama dell’Italicum, così come corretto dalla Corte costituzionale. Si parta, invece, mettono nero su bianco 31 senatori vicini al Guardasigilli dalla proposta depositata da Gianni Cuperlo alla Camera e Vannino Chiti al Senato: collegi uninominali; ripartizione proporzionale dei seggi; soglia di sbarramento del 3% alla Camera e del 4% al Senato; premio di governabilità del 10% alla lista o alla coalizione che ottiene il maggior numero di voti. Il ddl, spiegano gli orlandiani,  ricalca la mediazione raggiunta “e votata all’unanimità” dalla commissione Pd sulla legge elettorale creata in autunno, composta da Lorenzo Guerini, i capigruppo Ettore Rosato e Luigi Zanda, il presidente Matteo Orfini e Gianni Cuperlo, in rappresentanza della minoranza. “Allora era Renzi il segretario e dubito che Guerini o i capigruppo non lo abbiano avvertito”, ironizza Chiti.

Toni accesi anche per quel che riguarda il mancato confronto TV tra i tre candidati in Rai, come chiesto a più riprese da Orlando e da Emiliano. “Siamo preoccupati per il fatto che si stia non lavorando come se si stesse affrontando una pratica burocratica da sbrigare il prima possibile  – dice Sandra Zampa, responsabile comunicazione della mozione Orlando. Sappiamo che il servizio pubblico ha interesse a fare il confronto, ma pare che non ci sia la disponibilità di Renzi. Vorremmo sentire dalla sua voce perché si dice ‘no’ a un confronto in Rai”. “La Rai lo faccia anche con una sedia vuota”, le fa eco Chiti.

Intanto ieri la commissione per il congresso ha esaminato il ricorso presentato da Michele Emiliano dopo l’esclusione delle sue liste in Lombardia e Liguria e ha deciso che potrà correre in cinque collegi lombardi e in uno nel savonese. “La prima bella notizia è che la nostra mozione sarà presente in tutta Italia. La seconda, è che il 30 aprile possiamo davvero costruire un’alternativa al renzismo: basteranno 2 euro per cambiare il partito democratico, riavvicinarlo alla gente”, commenta il governatore della Puglia.
 

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