“Il Salone del libro, quando ne sono stato direttore dal 1993 al 1997, era l’unica occasione in cui rendere visibile la città, oggi ne è la pietra miliare. Dopo la pandemia abbiamo avuto l’edizione di ottobre 2021 che è stata un atto di vero coraggio e che ha dimostrato come la gente ne sentisse il bisogno. Questa di maggio invece è la consacrazione del rilancio con cui Torino sarà di nuovo la città più desiderata da chi è appassionato di cultura e di libri”.
É entusiasta e felice Paolo Verri, manager, autore e, tra le altre cose, già direttore del Salone del Libro di Torino e oggi presidente di Ivrea Capitale del Libro 2022, quando parla con LaPresse dell’edizione del Salone del Libro 2022 che oggi apre i battenti al Lingotto Fiere.
“Mi ricordo quando tutto è iniziato: io facevo il volontario e ci chiamavamo i ‘felpini’ perché indossavamo delle felpe grigie e io portavo in giro Natalia Ginzburg. Il Salone del libro, quando ne sono diventato direttore, era già una stella polare dell’anno di Torino: per me l’anno della città inizia sempre con il Salone”, ricorda Verri che sottolinea come sia da sempre stato “un’idea strepitosa non soltanto per la promozione del libro ma anche per la promozione della città”.
Questa per lui è un’edizione particolare, che vivrà da presidente di Ivrea Capitale del Libro 2022. “Ivrea ha la fortuna di essere patrimonio mondiale dell’Unesco però la riconoscibilità che ha oggi ha bisogno di un racconto più attuale. Proprio per questo, nel corso del Salone, al nostro stand faremo oltre 30mila interviste sulla base delle quali poi lavoreremo con editori, bibliotecari, librai e scrittori per produrre il manifesto che poi pubblicheremo a novembre” spiega. “Il Salone sarà l’occasione per la visibilità del progetto e in più ci sarà il momento simbolico del passaggio di testimone con la città di Vibo Valentia, capitale del libro 2021”.
Torino, reduce dal grande successo dell’Eurovision, si prepara dunque a ritornare sulla scena con il Salone, i suoi ospiti e le mille attività collaterali che animeranno la città. “Io mi sono battuto da sempre perché gli eventi segnino la stagionalità di una città: le città hanno bisogno di riconoscersi, di essere orgogliose, di far venire le persone da fuori e non solo per una questione puramente turistica ma perché fa sentire la città viva, vivace e mette in giochi i diversi luoghi e spazi”, sottolinea Verri per cui “gli eventi non sono separati dall’economia ma ne sono l’epifenomeno, che consente di illuminare con un faro le eccellenze che già ci sono”.
Per Verri questo è un argomento fondante, trattato anche nell’ultimo libro ‘Il paradosso urbano. Nove città in cerca di futuro’. “Il paradosso è quello che tutti conosciamo, di Achille e la tartaruga, e rappresenta la relazione tra i cittadini, in particolare i sindaci, e le grandi città per cui si può progettare il cambiamento di una città ma la città non sarà mai perfetta, solo perfettibile. Per questo – conclude – , chi si occupa di sviluppo urbano deve avere sempre due team a disposizione, uno di progetto e uno di realizzazione, per avere tanti progetti sul futuro ma anche realizzazioni nel presente”.