Non riesce a trovare pace Silvia Romano. La giovane cooperante milanese – liberata lo scorso 9 maggio dopo 18 mesi di prigionia tra la Somalia e il Kenya – continua a essere sotto scacco soprattutto sui social. Una valanga di insulti, per la maggior parte collegati alle sua conversione all’Islam, che hanno costretto il capo dell’antiterrorismo di Milano, Alberto Nobili, ad aprire una indagine per minacce aggravate, a cui seguirà una informativa dei Ros. Per redigere il fascicolo, Silvia è stata ascoltata dallo stesso Nobili, nella caserma del Ros, per circa un’ora e mezza. E’ “serena” trapela dopo l’audizione, “nonostante le pesanti minacce”.
E l’odio sui social costringe la ragazza ad apportare anche ulteriori restrizioni, in termini di privacy, al suo profilo Facebook. Da oggi sarà infatti più difficile per chi non è suo amico o amico dei suoi amici trovare Silvia sulla piattaforma di Mark Zuckerberg. Una azione necessaria per mettere a riparo la ragazza da un ulteriore stress, allontanando da lei polemiche e attacchi per una decisione, ha ribadito la stessa famiglia, “privata e che noi rispettiamo”.
Romano si trova da lunedì nella sua casa di Milano, nel quartiere Casoretto, con la sorella e con la mamma, che ai microfoni del Tg3 insiste: “Cerchiamo di dimenticare, di chiudere un capitolo e aprirne un altro”. Per quanto riguarda un’eventuale conferenza stampa, “non facciamo niente – dice ancora – perché Silvia è in quarantena. Siamo qua, poi fra due settimane vedremo, non lo so. Visto come sono andate le cose, non so nulla”. E sulla onlus Africa Milele, per la quale sua figlia lavorava al momento del rapimento, la donna taglia corto: “Non sono io l’ordine preposto per parlare di queste cose, c’è una procura che indaga e ci pensano loro, io non rilascio dichiarazioni sull’argomento”. Su una cosa è certa mamma Francesca, rispondendo sulla conversione all’Islam: “Provate a mandare un vostro parente due anni là e voglio vedere se non torna convertito. Usate il cervello”. Fisicamente Silvia sta bene, a dirlo il medico che l’ha visita oggi, ma come ha rilevato il papà, Enzo Romano: “Non è che se uno sorride sta benissimo, non confondiamo il sorriso con la capacità di reagire per rimanere in piedi dignitosamente da una situazione di cui si è preda e che ti porta poi ad andare nella depressione più totale. Meno male che ha un po’ di palle e cerca di reagire, ma è la sopravvivenza
Intanto sotto casa resta il presidio di polizia. E restano i cartelli di ‘benvenuto’ e i fiori di chi ha atteso per 18 mesi che quella ragazza, che si vedeva spesso in giro per le strade, facesse ritorno. Al fianco di tanti messaggi spesso anche sessisti e violenti, anche molti attestati di vicinanza e solidarietà che hanno mostrato a Silvia la felicità di averla rivista in patria.