“Le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana“. Lo scrivono i giudici di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater a proposito delle indagini sulla strage di via D’Amelio costata la vita al giudice. Un depistaggio, si legge a pagina 1735, che “ha condotto alla condanna alla pena detentiva perpetua di Profeta Salvatore, Scotto Gaetano, Vernengo Cosimo, Gambino Natale, La Mattina Giuseppe, Murana Gaetano ed Urso Giuseppe, per il loro ritenuto concorso nella strage di Via D’Amelio”.
La corte d’assise parla di “un proposito criminoso determinato essenzialmente dall’attività degli investigatori, che esercitarono in modo distorto i loro poteri”. Secondo i giudici sarebbero stati proprio gli investigatori dell’epoca a costringere Scarantino a raccontare una falsa versione sull’attentato, accusando della strage, insieme ad altri due falsi pentiti, sette innocenti. “Va sottolineata – si legge ancora nelle motivazioni firmate dal presidente Antonio Balsamo e dal giudice a latere Janos Barlotti – la particolare pervicacia e continuità dell’attività di determinazione dello Scarantino a rendere false dichiarazioni accusatorie, con la elaborazione di una trama complessa che riuscì a trarre in inganno anche i giudici dei primi due processi sulla strage di Via D’Amelio, così producendo drammatiche conseguenze sulla libertà e sulla vita delle persone incolpate”.
Secondo la corte, inoltre, il depistaggio sarebbe collegato anche alla scomparsa della famosa agenda rossa di Borsellino. “Poiché l’attività di determinazione così accertata ha consentito di realizzare uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana – scrivono i giudici -, è lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno criminoso”, con riferimento anche ai collegamenti con “la sottrazione dell’agenda rossa che Paolo Borsellino aveva con sé al momento dell’attentato e che conteneva una serie di appunti di fondamentale rilevanza per la ricostruzione dell’attività da lui svolta nell’ultimo periodo della sua vita, dedicato ad una serie di indagini di estrema delicatezza e alla ricerca della verità sulla strage di Capaci”.