Fulmine a ciel sereno sul colosso americano Uber, a otto anni dal suo debutto nel paese d’Oltralpe. La Corte di Cassazione francese ha deciso di riconoscere a un autista della società di autovetture con conducente lo status di ‘dipendente’ anziché autonomo. Una sentenza storica, che potrebbe lasciare una scia sui tribunali internazionali mettendo in discussione non solo il modello economico di questa piattaforma, ma anche di tutte le startup che ha influenzato negli ultimi anni. La notizia ha un effetto diretto sul titolo, che a Wall Street segna ribassi di oltre il 6%
Il caso risale al 2017, quando un dipendente del colosso Usa ha denunciato il gruppo per aver disattivato il suo account. A tre anni di distanza la Corte di Cassazione parigina riconosce che “esiste un legame di subordinazione tra il conducente e la società.” I criteri “per la definizione del lavoro autonomo – ricorda il tribunale parigino – comprendono in particolare la possibilità di costituire la propria clientela, la libertà di determinare le proprie tariffe e di definire le condizioni per lo svolgimento della prestazione dei propri servizi”.
Ricordando che “il conducente che utilizza Uber non costituisce la propria clientela, non fissa liberamente le proprie tariffe e non determina le condizioni di prestazione del proprio servizio di trasporto”, lo “status di libero professionista” dei conducenti di Uber per il Tribunale è quindi “solo fittizio”.
La decisione della corte francese rischia di avere gravi conseguenze per la piattaforma. Qualsiasi conducente potrebbe richiedere la ridefinizione del proprio status e la sottoscrizione di un contratto di lavoro. Il colosso Usa sarebbe sottoposto a un grave aumento dei costi per questi ‘nuovi’ dipendenti. Il disappunto di Uber emerge dalle parole del suo amministratore delegato: “Ci dispiace per questa decisione”, ha dichiarato il ceo Steve Salom ai microfoni del programma tv 20 Minutes. “Non riflette affatto il motivo per cui i conducenti scelgono di utilizzare Uber, ovvero flessibilità e indipendenza”.
Ma la società non sembra ritenere un’ondata di confronti legali. “Questa decisione corrisponde a un caso particolare di un guidatore che stava guidando sulla piattaforma nel 2016. La stragrande maggioranza dei conducenti non intende diventare dipendente. Ecco perché non temiamo una situazione in cui intere ondate di conducenti vogliono essere riqualificate”, ha spiegato il numero uno di Uber.