L’attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhia in Ucraina ha spinto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a parlare di “terrorismo nucleare”, avvertendo che in caso di incidente nucleare “potrebbe essere come sei Chernobyl”.
Per Mario Tozzi, geologo, divulgatore scientifico e ricercatore del Cnr sentito da LaPresse, “i danni alle centrali nucleari sono sempre globali”. Tozzi spiega come nel 1986 “da Chernobyl la nube in sette giorni ha fatto il giro del mondo. Quelle ucraine sono centrali di vecchia generazione quindi ordigni particolari possono arrivare ad intaccare anche le parte più sensibili”. Trattandosi di un rischio molto alto, “non a caso sono sempre difese dai militari”.
Lo spegnimento di una centrale, in ogni caso, richiederebbe “parecchio tempo”, mentre in caso di emergenza “c’è un metodo per spegnere al volo ovvero ‘annegare’ le barre e impedire che la reazione si moltiplichi a catena. Questo però comporta la perdita del reattore e svariati problemi di inquinamento anche se sarebbe comunque una limitazione del danno”, argomenta il ricercatore del Cnr. E per fare in modo che questo procedimento possa essere messo in atto “non deve essere colpita la centrale di controllo”, nel caso gli scontri tra forze russe e ucraine dovesse riprendere nei pressi dell’impianto.
Le possibilità di replicare un disastro come quello avvenuto a Chernobyl sarebbero meno probabili di quanto sembri. “Sono ragionevolmente sicuro che non sia successo niente di grave, e che i rischi siano veramente minimi”. A dirlo Alessandro Dodaro, direttore del dipartimento di fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare di Enea, che spiega a LaPresse: “Ci potrebbero essere dei problemi e delle conseguenze nel caso in cui la centrale venisse colpita da un missile o da qualcosa di pericoloso. Ma si tratterebbe a mio avviso solo di problemi locali, non potrebbero arrivare a livelli catastrofici come Chernobyl”. Nella notte degli scontri l’incendio alla centrale di Zaporizhzhia ha coinvolto solo un “edificio ausiliario che non può portare alcun tipo di danno”.
“Nel caso di Chernobyl – aggiunge Dodaro – c’è stata un’esplosione dall’interno verso l’esterno, il problema era l’interno del reattore. Nel caso in cui un missile colpisca l’edificio dove c’è il reattore, abbiamo dei reattori ad acqua pressurizzata e il nocciolo è all’interno di un contenitore in acciaio molto resistente che deve resistere alla pressione a cui è tenuta calda. Questo missile, oltre a colpire l’edificio, dovrebbe riuscire a rompere questo contenitore”.
La centrale di Chernobyl di classe RBMK, era stata messa in funzione nel 1977, con un sistema di contenimento a gas e un reattore moderato a grafite, mentre a Zaporizhzhia sono in funzione dei reattori VVER, moderati ad acqua pressurizzata e messi in funzione tra il 1985 e il 1996, con un sistema di progettazione ritenuto più sicuro di quello in uso nelle centrali RBMK.
“Dopo Chernobyl è stata ulteriormente implementata la rete di monitoraggio internazionale. Se c’è un’uscita radioattiva anche minimale viene scoperta subito. Se pure in Ucraina dovessero manomettere i sensori, appena esce dal paese la radioattività viene scoperta e sarebbe abbastanza inutile. Significherebbe differire una cosa che verrebbe comunque scoperta. Credo che nessuno potrebbe mai arrivare a questo livello, Chernobyl ha dimostrato che non è una bomba atomica, è qualcosa di peggio. È arrivata a tutta Europa”, aggiunge Dodaro.