Dai, che magari si ricomincia. A fare cosa? A votare, a fine luglio, giorno 29, con abbronzante e doposole a portata di mano, campagna elettorale rigorosamente sulle Riviere; anzi no, forse a tenere a battesimo il governo gialloverde ‘del cambiamento’, che doveva nascere e che è abortito all’improvviso in una domenica destinata a restare scolpita nella memoria collettiva. E che, sempre all’improvviso, quando gli italiani sono con le gambe sotto il tavolo ad arrotolare lo spaghetto, regala la sensazione/illusione di poter rinascere, quel governo.
Dai che è un giorno un po’ bislacco, più bislacco degli ultimi già molto bislacchi. Il premier designato, Carlo Cottarelli, parte come un razzo per formare la squadra di un esecutivo sfiduciato alla nascita e subito si ferma, mentre Luigi Di Maio infila in saccoccia la minaccia dell’impeachment, tende la mano a Sergio Mattarella, dice che magari si può ancora fare il contratto, verosimilmente con qualche piccola correzione di rotta. Il Colle non è più luogo inospitale e minaccioso, ma il domicilio naturale delle istituzioni. I margini per una clamorosa ricompattazione esistono? Mah.
Intanto Matteo Salvini comizia a Siena, arringa la folla, bastona la Germania, sculaccia i ragazzini dei centri sociali, non cambia refrain. Ma lo sa dell’amico Di Maio? Mah.
Dai che magari gli umori degli speculatori finanziari internazionali tornano a essere meno volatili, lo spread non si impenna più, la Borsa recupera, il 2 giugno si fa festa (della Repubblica) e non si protesta, il tricolore sventola a prescindere da che parte tiri il vento, le fotografie del Capo dello Stato vengono recuperati dalle cantine, nei consigli comunali non si sciopera più per protesta.
Dai che magari si evita un’altra figuraccia internazionale. Ripresentarsi alle urne non avrebbe un senso con la stessa legge elettorale, più o meno con lo stesso esito, più o meno con le stesse grane. Dai, che oggi va in scena un’altra puntata della telenovela Italia.