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Usa, Trump rafforza la sua presa sui Repubblicani: a destra non ha più rivali

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Donald Trump ha superato indenne il primo test elettorale, dopo la perquisizione dell’Fbi nella sua residenza di Mar-a-Lago. Anche se ampiamente annunciata, la pesante sconfitta nelle primarie del Wyoming di Liz Cheney, tra le voci più critiche nei confronti di Trump all’interno del partito, ha consegnato all’ex presidente la conferma della sua presa sull’elettorato repubblicano. Paradossalmente, nonostante la gravità dei sospetti – sottrazione di documenti sulla sicurezza nazionale, potenziale incriminazione per spionaggio – che hanno portato all’irruzione degli agenti federali nella dimora di Trump in Florida, l’ennesima grana giudiziaria potrebbe aver fatto guadagnare all’ex tycoon un ulteriore vantaggio sui potenziali sfidanti in vista delle Presidenziali del 2024.

Secondo un sondaggio diffuso dal New York Times all’indomani della perquisizione, il 57 per cento degli elettori repubblicani o degli indipendenti propensi a votare repubblicano si dicevano pronti a votare Trump nelle primarie del partito. Il mese prima, l’ex presidente aveva raccolto nello stesso sondaggio una percentuale del 53%. Contemporaneamente, uno dei suoi potenziali avversari interni più pericolosi, il governatore repubblicano della Florida Ron De Santis, ha perso il 6 per cento di consensi. E’ un segnale che la narrativa trumpiana, con le accuse di un uso politico della giustizia per fermare la sua rivincita per la Casa Bianca, almeno nell’immediato, sta funzionando.

Trump ha salutato la disfatta della Cheney in Wyoming ad opera della ‘sua’ candidata Harriet Hageman con toni sprezzanti. “Ora può finalmente scomparire negli abissi dell’oblio politico dove, sono sicuro, sarà molto più felice di quanto non lo sia ora”, ha detto l’ex presidente, proprio mentre la figlia dell’ex presidente, riconoscendo la sconfitta, prometteva future battaglie e non escludeva una sua candidatura per le primarie repubblicane del 2024.

Tuttavia, sembra che al momento la battaglia per la nomination repubblicana si combatterà soprattutto a destra, proprio sul terreno più favorevole a Trump. La perquisizione di Mar-a-Lago ha infatti spinto alcuni dei potenziali rivali di Trump su quel fronte, come De Santis, appunto, a scendere in difesa dell’ex presidente, per non correre il rischio di alienarsi le simpatie di un elettorato ancora propenso a credere alle false accuse di brogli elettorali nel voto del 2020 e, ora, a quelle della persecuzione giudiziaria da parte dell’Fbi.

“Da parte repubblicana, con l’eccezione di quelli che non voterebbero mai per Trump, praticamente tutti pensano che l’Fbi sia corrotta. Credono che la Commissione sul 6 gennaio sia una Commissione fasulla che si basa su fake news e pensano che ci sia un piano per martirizzare Trump. Se continua così, non avrà grandi avversari nelle primarie”, ha spiegato l’ex speaker repubblicano della Camera dei rappresentanti, Newt Gingrich, citato da The Hill.

Tra le poche voci – oltre a quella della Cheney – che provano ad opporsi pubblicamente alla retorica trumpiana, seppure timidamente, c’è quella di Mike Pence. Parlando mercoledì ad un evento pubblico in New Hampshire, l’ex vice presidente si è detto disposto a “prendere in considerazione” di testimoniare davanti alla Commissione del Congresso che indaga sulla tentata insurrezione del 6 gennaio 2021, “se convocato”. E’ un riconoscimento indiretto della legittimità dell’organismo, della quale oltre alla Cheney fanno parte solamente altri due deputati repubblicani, anche loro sconfessati dal partito. Non solo, Pence ha chiesto di “fermare” gli attacchi all’Fbi, ricordando che i Repubblicani sono “il partito della legge e dell’ordine”. Al momento, il suo invito sembra caduto nel vuoto.

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