“Non mi sono dimesso volontariamente. Sono stato minacciato di arresto. Il capo della Gendarmeria mi ha intimidito per costringermi a firmare una lettera che avevano già pronta”. Lo ha detto Libero Milone raccontando il perchè delle sue dimissioni da primo Revisore generale dei conti vaticani in una lunga intervista al Corriere della Sera e a Wall Street Journal, agenzia Reuters e Sky Tg24.
“Parlo solo ora perchè volevo vedere cosa sarebbe successo dopo le mie dimissioni del 19 giugno”, spiega. “In questi tre mesi dal Vaticano sono filtrate notizie offensive per la mia reputazione e la mia professionalità – prosegue – . Non potevo più permettere che un piccolo gruppo di potere esponesse la mia persona per i suoi loschi giochi. Mi spiace molto per il Papa. Con lui ho avuto un rapporto splendido, indescrivibile, ma nell’ultimo anno e mezzo mi hanno impedito di vederlo. Evidentemente non volevano che gli riferissi alcune cose che avevo visto. Volevo fare del bene alla Chiesa, riformarla come mi era stato chiesto. Non me l’hanno consentito”.
Milone ri costruisce tutti i passaggi della vicenda. “Dal 19 giugno – dice- quando fui ricevuto dal sostituto alla segreteria di Stato, monsignor Becciu, per parlargli del contratto dei miei dipendenti. E invece mi sentii dire che il rapporto di fiducia col Papa si era incrinato: il Santo Padre chiedeva le mie dimissioni. Ne domandai i motivi, e me ne forni’ alcuni che mi parvero incredibili. Risposi che le accuse erano false e costruite per ingannare sia lui che Francesco; e che comunque ne avrei parlato col Papa. Ma la risposta fu che non era possibile.
Becciu mi disse invece di andare alla Gendarmeria”.
In quell’occasione “notai subito un comportamento aggressivo. Ricordo che a un certo punto il comandante Giandomenico Giani mi urlò in faccia che dovevo ammettere tutto, confessare. Ma confessare che cosa? Non avevo fatto nulla”. “Scoprii che indagavano da oltre 7 mesi su di me – aggiunge Milione -. Hanno sequestrato documenti ufficiali protocollati e coperti dal segreto di Stato”. “Non potevo fare niente. Ero intimidito”.
“Credo che il Papa sia una grande persona – prosegue Milione – e era partito con le migliori intenzioni. Ma temo sia stato bloccato dal vecchio potere che è ancora tutto lì, e si è sentito minacciato quando ha capito che potevo riferire al Papa e a Parolin quanto avevo visto nei conti. Questo dice la logica”.
Milione finora ha preferito restare in silenzio perchè “esisteva un patto di reciproca riservatezza che qualcuno in Vaticano ha violato. Il Papa mi aveva chiesto di promuovere la trasparenza, e ho cercato di farlo per rispettare la volontà dei fedeli e dei donatori. Ma ho deciso – conclude – di rimediare almeno a tutte le cose a vanvera fatte uscire sul mio conto”.