Torna l’ombra del tradimento tra le mura leonine e aleggia, ancora una volta, tra le stanze dello Ior. C’è una lettera, inviata per email ad alcuni dipendenti del Governatorato e alla diocesi di Roma, in cui il direttore dello Ior Gianfranco Mammì si scuserebbe per una serie di episodi avvenuti durante la sua direzione dell’Istituto Opere di Religione. Lui però nega in maniera assoluta di essere l’autore di quella lettera e informa le autorità vaticane dell’episodio. A dare la notizia è stato questa mattina il Corriere della Sera.
Il 27 novembre scorso il vice direttore dell’Istituto, Giulio Mattietti, è stato allontanato dal Vaticano senza spiegazioni: “L’aggiunto del Direttore Generale dell’Istituto per le Opere di Religione ha cessato il suo servizio”, avevano fatto sapere dalla sala stampa. Dopo 10 anni all’interno della banca vaticana, nel 2007 era diventato responsabile dell’area informatica, grazie all’allora direttore generale Paolo Cipriani, condannato lo scorso inverno per aver violato – nel 2010 e in tre distinte circostanze – la normativa in materia di antiriciclaggio, omettendo di fornire alla Jp Morgan “informazioni sullo scopo e sulla natura” di tre operazioni bancarie riferite al trasferimento di 120mila, di 48mila e di 100mila euro.
Il 20 giugno scorso, invece, è stato allontanato il revisore generale del Vaticano Libero Milone: “Si conclude, di comune accordo, il rapporto di collaborazione con la Santa Sede”, ha comunicato la Santa Sede in una nota. Eppure, il 22 dicembre, per il tradizionale discorso prenatalizio alla Curia, Papa Francesco aveva parlato di una “squilibrata e degenere logica dei complotti” come un “cancro” infiltrato nella Chiesa che va estirpato. Bergoglio si è rivolto direttamente alle “piccole cerchie”, ai corvi, agli autori di lettere anonime, a chi solleva ‘dubia’, a chi cerca di scansarlo dalla guida del timone. Aveva persino preso in prestito da monsignor De Merode un’espressione che rende l’idea della fatica che dal 2013 cerca di compiere: riformare la Curia è come “pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti”.
Poi lo aveva detto chiaramente: in Vaticano ci sono “traditori di fiducia”, e “approfittatori della maternità della Chiesa”: persone chiamate a dare “maggior vigore al corpo e alla riforma”, che però perdono di vista le proprie responsabilità e “si lasciano corrompere dall’ambizione o dalla vanagloria”. Perdipiù, una volta allontanate, “si auto-dichiarano erroneamente martiri del sistema, del ‘Papa non informato’, della ‘vecchia guardia’, invece di recitare il ‘mea culpa’”.
L’istituto ha sempre avuto vita tormentata: allo Ior è stata dedicata una buona parte dell’ultimo libro-inchiesta del giornalista Gianluigi Nuzzi, ‘Peccato originale’ (Chiarelettere), a due anni dal processo che l’ha visto protagonista in Vaticano. Secondo quanto scrive il giornalista, alla Cisalpine Overseas Bank di Nassau, società estera del Banco Ambrosiano, direttamente o tramite fiduciarie collegate, Escobar e il cartello di Medellìn avevano aperto alcuni depositi per diversi milioni di dollari. E si tratta della banca omonima del ‘Fondo Cisalpine’ presso lo Ior, coinvolto in operazioni per milioni di dollari a favore di Paolo VI.
Negli anni della presidenza di Paul Casimir Marcinkus, Madre Teresa di Calcutta, tra le pochissime donne clienti dello Ior, “amministrava il conto di gran lunga più consistente”. “La suora in quegli anni – scrive Nuzzi – era l’unica ad avere potere di firma sui depositi del conto, in dollari e in lire. Il saldo rimane uno dei segreti meglio custoditi allo Ior”. “Se solo Madre Teresa avesse chiuso i conti o li avesse trasferiti, l’istituto avrebbe rischiato il default”.