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Venezuela, 3 mesi di crisi politica all’ombra di 2 ‘presidenti’

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Il Venezuela è in perenne tensione da quando il 23 gennaio scorso l’oppositore Juan Guaido si è autoproclamato presidente ad interim, chiedendo la destituzione del presidente Nicolas Maduro. Il secondo mandato di quest’ultimo, iniziato il 10 gennaio, non è stato riconosciuto da una parte del mondo. Nel giorno di fine gennaio, segnato da cortei paralleli di sostenitori di Guaido e Maduro, si innesca nel Paese centroamericano una grave crisi politica, economica e umanitaria. Guaido, presidente del Parlamento, promette un “governo di transizione” ed “elezioni libere”. L’organo da lui guidato è l’unico in mano all’opposizione, ma un’Assemblea costituente eletta nel 2017 e fedele a Maduro ne ha assunto i poteri.

Gli Stati Uniti e altre nazioni riconoscono Guaido come presidente ad interim. Russia, Cina, Cuba e altri appoggiano invece Maduro e accusano gli Usa di istigare un “colpo di stato”. Anche l’esercito è con Maduro. Il 28 gennaio Washington annuncia sanzioni contro la compagnia petrolifera venezuelana PDVSA, a partire dal 28 aprile. Consegna inoltre a Guaido il controllo dei conti bancari venezuelani negli Usa. Il 4 febbraio una ventina di Paesi europei riconosce Guaido come presidente, poi il numero sale a circa 50. Dal 7 febbraio centinaia di tonnellate di farmaci e prodotti di prima necessità vengono stoccati alla frontiera colombiana. Guaido, pronto ad appoggiare un intervento militare statunitense, annuncia l’ingresso degli aiuti il 23 febbraio. Maduro assicura che impedirà questo “show”, che considera premessa di un’azione militare, e annuncia l’arrivo di 300 tonnellate di aiuti russi.

Il 22 febbraio Guaido va in Colombia, sfidando il divieto di lasciare il Paese. Caracas chiude la frontiera con la città colombiana di Cucuta, dove Guaido compare al ‘Venezuela Aid Live’, concerto organizzato dal britannico Richard Branson. Oltreconfine il regime lancia un controconcerto. Il 23 febbraio scoppiano scontri alla frontiera, dove dimostranti chiedono l’ingresso degli aiuti: 4 persone muoiono, centinaia sono ferite. Due camion entrati dalla Colombia sono incendiati, due inviati dal Brasile tornano indietro.

Maduro rompe le relazioni con Bogotà, dove il 15 febbraio Guaido incontra leader dei Paesi ostili a Maduro e il vice presidente Usa, Mike Pence. Poi parte per un tour in Brasile, Paraguay, Argentina ed Ecuador. Mosca afferma che un primo lotto di farmaci arriva in Venezuela. Il 4 marzo Guaido torna a Caracas. Il 7 marzo inizia il blackout senza precedenti che paralizza il Paese per sei giorni. Maduro denuncia il “sabotaggio” della centra di Guri, che fornisce l’80% dell’elettricità, mentre esperti accusano il governo di non aver fatto manutenzione alle infrastrutture. Guaido denuncia la morte di 20 persone a causa del blackout, ma Caracas nega. Altri blackout si susseguono.

Il 21 marzo il braccio destro di Guaido, il deputato Roberto Marrero, è arrestato per l’accusa di terrorismo. Pochi giorni dopo due aerei russi con a bordo centinaia di militari e 35 tonnellate di materiale arrivano a Caracas. Il 28 marzo il potere dichiara Guaido ineleggibile per 15 anni e gli toglie l’immunità parlamentare. Il 30 aprile Guaido rivendica il sostegno di “soldati coraggiosi”, da una base militare della capitale, mentre il governo di Maduro denuncia “un tentativo di colpo di stato”.

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