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Via libera al Def, crescita al 1.5%. Debito giù, aumenta spesa per migranti

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Crescita confermata al’1,5% con una stima “prudenziale”, assicura il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Alla fine, in assenza di un nuovo governo e di un orizzonte certo – e a breve termine – per la sua formazione, l’esecutivo uscente guidato da Paolo Gentiloni ha portato e varato in Consiglio dei ministri il Def a politiche invariate.

“Si tratta di un Def particolare, in sostanza fotografa la situazione tendenziale dell’economia, credo emerga un quadro positivo che riflette il buon lavoro fatto – ha detto Gentiloni -. Ci dice che l’Italia è uscita dalla crisi, la crescita è ripresa e si è andata consolidando e il lavoro è cresciuto recuperando circa un milione di posti di lavoro, che il deficit si è ridotto dal 3 al 2 percento e il debito si è stabilizzato e comincia a scendere”. I risultati positivi raggiunti, ha sottolineato, sono frutto “della coerenza dell’azione di governo nel sostegno all’espansione dell’economia, credibilità a livello europeo e serietà nei conti pubblici”, e spiegano che “anche il fatto che non ci siano state turbolenze dei mercati nonostante le incertezze degli scenari politici in queste settimane. Siccome non facciamo i profeti di sventura siamo molto contenti”.

Tornando alle cifre, è confermata la crescita del Pil del 1,5% “ma io credo che la crescita potenziale sia superiore e possa andare almeno intorno al 2%”, ha detto Padoan. La stima per il 2019 è del 1,4%, e per il 2020 al 1,3% “principalmente per effetto dell’aumento delle imposte indirette disposto da precedenti provvedimenti legislativi e in ragione di una valutazione prudente dei rischi geopolitici di medio termine”, si legge nel documento. Tra i rischi derivanti dallo scenario internazionale, lo “shock protezionistico” statunitense che porterebbe nel 2018 il Pil a diminuire “dello 0,3 per cento rispetto allo scenario di base e dello 0,7 nel 2019. Nei due anni successivi l’effetto negativo sul prodotto sarebbe più pronunciato e pari allo 0,8 per cento”.

Il deficit è previsto al 2,3 per il 2017, “un dato più alto della precedente previsione perché incorpora le cifre che il governo ha messo a disposizione di gravi situazioni bancarie”, ha spiegato Padoan sottolineando che comunque si tratta di misure una tantum che non impattano sul rispetto dei parametri del patto di stabilità. Il debito scende di un punto percentuale nel 2018: scenderà in rapporto al Pil al 130,8% nel 2018 (dal 131,8% del 2017), al 128% nel 2019 e al 124,7% nel 2020. L’indebitamento netto a legislazione vigente è previsto all’1,6% del Pil nel 2018, allo 0,8% nel 2019, mentre nel 2020 si raggiungerebbe già il pareggio di bilancio e nel 2021 è previsto un surplus (0,2%).

Le clausole di salvaguardia sull’aumento dell’Iva e delle accise “sono tenute dentro, nell’aspettativa che, come in passato, il prossimo governo presenti misure per rimuoverle”, ha sottolineato il ministro.

La pressione fiscale dovrebbe ridursi di 0,3 punti percentuali nel 2018, collocandosi al 42,2 per cento del Pil. Dopo una lieve ripresa nel 2019, tornerà a scendere al 42,3 per cento alla fine del periodo. Al netto della misura degli 80 euro, la pressione fiscale è prevista scendere al 41,7 per cento nel 2018, aumentare di 3 decimi di punti percentuali nel 2020 e tornare a scendere al 41,8 per cento alla fine del periodo.

Cresce invece, nonostante la diminuzione degli sbarchi, la spesa per i migranti: la spesa per le operazioni di soccorso, assistenza sanitaria, accoglienza e istruzione è stimata, al netto dei contributi dell’Ue, pari a 4,3 miliardi nel 2017, cioè lo 0,25 per cento del Pil, “un valore leggermente superiore allo scenario di base annunciato nel Def lo scorso aprile e che verifica, quindi, la valutazione della flessibilità accordata ex-ante” dall’Europa. Considerando una perdurante capacità nel frenare gli arrivi, “la previsione di spesa da sostenere nel 2018 è compresa tra 4,6 e 5 miliardi che, anche al netto dei contributi dell’Ue, determina un incremento tra lo 0,02 e lo 0,04 per cento del Pil rispetto alla spesa del 2017”.

Scende ancora la disoccupazione, in calo al 10,7 % nel 2018 dal 11,2 del 2017. Nel 2019 la disoccupazione dovrebbe scendere ancora al 10,2, al 9,7 nel 2020 e al 9,1 nel 2021. Inoltre, le stime del Governo “considerano per il periodo 2018-2020 proventi da privatizzazioni e altri proventi finanziari pari allo 0,3 per cento del Pil annuo”, nonostante lo stop del 2017.

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