Marcia compatto, il Pd, nelle ore decisive della trattativa con il M5S. Quando la possibilità di far nascere il nuovo Governo giallorosso sembra quasi appesa a un filo, i dem si riscoprono uniti attorno a un nemico comune (che presto, paradossalmente, sarà alleato). Il Paese ha bisogno di un esecutivo di ‘di svolta’, la responsabilità chiama e il Quirinale attende, ma – è la linea comune – concedere il Viminale a Luigi Di Maio è “decisamente troppo”. Matteo Renzi segue la trattativa da casa sua, a Firenze. Il telefono è bollente. Il senatore di Scandicci sente il fedelissimo Marcucci, certo, ma costanti sono i contatti anche con lo stato maggiore del Nazareno: parla con Orlando e Franceschini, in prima linea nella partita a scacchi con i pentastellati. La linea su Di Maio viene decisa insieme. Ne è testimonianza il tweet che Francesco Bonifazi, vicinissimo all’ex premier e presumibilmente ‘ispirato’ direttamente da lui, scrive a metà mattina, quando lo stallo è totale: “Sono uno serio e responsabile. Credo al Governo Istituzionale. E mi va bene anche Conte. Ma se devo accettare Di Maio al Viminale, per me si può andare a votare subito #CrisiDiGoverno”, cinguetta. Vuol dire che va bene il Conte bis, ma non a tutti i costi. Dopo Bonifazi, arriva Marcucci e il messaggio non cambia. Poi parte un vero e proprio Tweet storm che prende di mira il ‘poltronaro’ Di Maio. Sono poi le diverse telefonate tra Nicola Zingaretti e Giuseppe Conte a far ripartire la trattativa. Avere alle spalle un partito (stranamente) compatto, però, consente al segretario di alzare la posta e rendere più reale la ‘minaccia’ di nuove elezioni. L’unità, comunque, non è monolitica. Del resto è pur sempre il Pd. A riservarsi il ruolo di outsider è Carlo Calenda: “Sono stato zitto, come promesso, fino all’inizio delle consultazioni. Ma ora basta. Lo spettacolo è indecoroso. Oggi iniziano e noi stiamo prendendo da giorni schiaffi da Di Maio e soci. C’è un democratico rimasto che si ribelli ai diktat su Conte e a un negoziato che non ha toccato un tema vero. #Basta. Calarsi le braghe non si può. Il tempo scadeva ieri. #Basta, ritrovate un po ‘ di orgoglio diamine!!”, scrive su Facebook. “Almeno Calenda non va messo nel toto-ministri”, ironizzano alcuni parlamentari.
Zingaretti e Renzi ora uniti contro le pretese di Di Maio. L’ira di Calenda: ci facciamo umiliare
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