La Guardia di finanza ha eseguito nelle province di Cosenza, Catanzaro e Roma, misure cautelari nei confronti di 16 persone, tra cui dirigenti della Regione Calabria e dipendenti pubblici, nonché un imprenditore legato alla cosca Muto, e politici indagati a vario titolo per corruzione, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e frode in pubbliche forniture. Tra questi anche il governatore calabrese, Gerardo Mario Oliverio, 65 anni, sottoposto all’obbligo di dimora nel comune di residenza.
L’indagine, nell’ambito dell’operazione ‘Lande desolate’, ha permesso di ricostruire violazioni e irregolarità nella gestione e nella conduzione degli appalti per l’ammodernamento dell’aviosuperficie di Scalea, degli impianti sciistici di Lorica e nella successiva fase di erogazione di finanziamenti pubblici. Il provvedimento è stato emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catanzaro, Pietro Carè, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia diretta dal procuratore della Repubblica Nicola Gratteri, con i sostituti procuratori Alessandro Prontera e Camillo Falvo, coordinati dai procuratori aggiunti Vincenzo Luberto e Vincenzo Capomolla.
Dall’indagine, si legge in una nota delle fiamme gialle, è emerso “il completo asservimento di pubblici ufficiali, anche titolari di importanti e strategici uffici presso la Regione Calabria, alle esigenze del privato imprenditore attraverso una consapevole e reiterata falsificazione dei vari stati di avanzamento lavori ovvero l’attestazione nei documenti ufficiali di lavori non eseguiti al fine di far ottenere all’imprenditore l’erogazione di ulteriori finanziamenti comunitari altrimenti non spettanti”. Gli investigatori parlano di “emblematica spregiudicatezza” in merito all’agire di un imprenditore romano, “spinta al punto di porre in essere condotte corruttive nei confronti di pubblici funzionari, finalizzate al compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio”, attraverso un compiacente controllo sui lavori in corso, il riconoscimento di opere complementari prive dei requisti previsti dal codice degli appalti e il mancato utilizzo di capitali propri dell’impresa appaltatrice, in totale spregio degli obblighi previsti dai bandi di gara.
Stando a quanto emerge, l’imprenditore romano, a cui è contestata l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, avrebbe impegnato qualche decina di migliaia di euro a fronte dei diversi milioni previsti dai bandi di gara, circostanza secondo l’accusa ampliamente conosciuta e avallata dai soggetti preposti al controllo e alla erogazione delle somme, nonchè dalle figure politiche coinvolte. L’indagine ha fatto luce su un “diffuso sistema illecito” che, attraverso la “reiterata commissione di falsi, abusi e atti corruttivi, ha compromesso il corretto impiego delle risorse pubbliche non consentendo lo sviluppo e la crescita del territorio, l’elevazione del livello dei servizi resi al cittadino e costituendo, di fatto, un ostacolo alla realizzazione del potenziale di crescita che il territorio è in grado di esprimere”.