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Arabia Saudita, un’attivista rischia la pena di morte: è la prima volta

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

La procura saudita ha chiesto la pena di morte per Israa al-Ghomgham, nota attivista per i diritti umani, così come per altri quattro militanti. A denunciarlo è Human Rights Watch, sottolineando che, se al-Ghomgham fosse uccisa, si tratterebbe della prima esecuzione di una donna per il suo impegno a favore dei diritti umani, “un pericoloso precedente per le altre donne che sono attualmente dietro le sbarre”. I cinque, assieme a un’altra persona che non rischia la pena capitale, vengono processati dal tribunale speciale che si occupa dei reati di terrorismo, istituito nel 2008, per accuse che riguardano esclusivamente il loro attivismo pacifico. “La procura pubblica, che risponde direttamente al re, ha imputato agli attivisti detenuti varie accuse che non somigliano a reati riconoscibili, tra cui ‘partecipazione alle proteste nella regione di Qatif’, ‘incitamento alle proteste’, ‘canto di slogan ostili al regime’, ‘tentativo di infiammare l’opinione pubblica’, ‘ripresa video di proteste e pubblicazione sui social media’, ‘fornitura di sostegno morale ai rivoltosi'”, scrive HRW in una nota.

La procura chiede l’esecuzione sulla base del principio della legge islamica ta’zir, in cui il giudice ha discrezione sulla definizione di ciò che costituisce reato e sulla sentenza. L’organizzazione sottolinea che sei attivisti sono stati trattenuti in carcere prima del processo, senza rappresentanza legale, per oltre due anni. La prossima udienza è fissata al 28 ottobre. “Qualsiasi esecuzione è spaventosa, ma chiedere la pena di morte per attivisti come Israa al-Ghomgham, che non sono neppure accusati di comportamento violento, è mostruoso”, ha dichiarato Sarah Leah Whitson, direttrice di HRW per il Medioriente.

“Ogni giorno, il dispotismo incontrollato della monarchia saudita rende più difficile per gli addetti alle pubbliche relazioni promuovere la fiaba della ‘riforma’ con gli alleati e i partner commerciali internazionali”, ha proseguito Whitson. Al-Ghomgham è una attivista sciita nota per aver partecipato e aver documentato le dimostrazioni di massa nella Provincia orientale, iniziate nel 2011, chiedendo la fine della discriminazione sistematica della minoranza saudita sciita. Lei e il marito sono stati arrestati in un raid notturno nella loro abitazione il 6 dicembre 2015, da allora sono rinchiusi nel carcere al-Mabahith di Dammam.

L’ong sottolinea che il tribunale speciale viene sempre più usato per perseguire i dissidenti pacifici e ha già condannato a morte altri attivisti sciiti con accuse politicamente motivate. Il noto religioso sciita, Nimr al-Nimr, fu condannato a morte per il ruolo nelle proteste nella Provincia orientale, e altre 14 persone lo furono nel 2016: al-Nimr e almeno altri 3 sono stati uccisi il 2 gennaio 2016, nella più grande esecuzione di massa dal 1980, con 47 uomini uccisi. La recente repressione delle attiviste per i diritti delle donne ha portato all’arresto di 13 militanti “sotto il pretesto della sicurezza nazionale”, sottolinea HRW. Mentre alcune sotto state rilasciate, almeno nove restano in carcere, tra cui Samar Badawi, sorella del blogger detenuto Raif Badawi, condannato a 10 anni di carcere e a mille frustate. Le autorità hanno accusato varie attiviste di gravi reati e i media locali hanno condotto una campagna senza precedenti contro di loro, etichettandole come ‘traditrici’.

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