Dopo la lunga attesa arriva la bocciatura: l’offerta di Cassa depositi e prestiti per l’88% di Autostrade non assicura un’adeguata valorizzazione di mercato alla partecipazione. Il giudizio appartiene al consiglio di amministrazione di Atlantia – gruppo che ancora controlla Autostrade – e riguarda l’offerta della Cassa, tramite Cdp Equity, in cordata con i fondi Blackstone e Macquarie. Ma la corsia preferenziale per la Cassa resta aperta. Il board di Atlantia ha infatti deciso – nonostante sia scaduto il periodo di esclusiva – di proseguire le interlocuzioni con Cdp e i co-investitori fino al 27 ottobre e di riaggiornarsi il giorno successivo per valutare un’eventuale nuova offerta vincolante.
La palla passa quindi ancora una volta in mano alla Cdp, che solo poche ore fa aveva presentato la sua proposta finalizzata alla stesura di un memorandum of understanding proprio entro il 28 ottobre. Auspicio della stessa Cdp era che Atlantia rinviasse l’assemblea del 30 ottobre che avrebbe dovuto dare il via libera alla scissione e quotazione di Aspi in Borsa, operazione già approvata dal board ma congelata per la trattativa con la Cassa.
La proposta della Cdp non ha suscitato sosprese. Il board della Cassa ha autorizzato la controllata Cdp Equity a procedere con la presentazione insieme ai due fondi stranieri di un’offerta per l’88,06% di Aspi. L’operazione, recita una nota, prevede anche la sottoscrizione di un term sheet volto a disciplinare i principali termini e condizioni e gli assetti di governance di una società di nuova costituzione partecipata da Cdp Equity quale primo azionista, Blackstone e Macquarie (‘BidCo’), che sarà utilizzata per la realizzazione dell’investimento.
L’obiettivo immaginato dalla Cassa era di arrivare a sottoscrivere con la holding autostradale un MoU con i dettagli. “Al riguardo, nell’ottica di continuare proficuamente le discussioni tra le parti, nell’offerta è stata, tra l’altro, rappresentata l’aspettativa degli offerenti che il consiglio di amministrazione di Atlantia rinvii l’assemblea per la scissione già convocata per il 30 ottobre, che sottende un’operazione diversa da quella prospettata”, si legge ancora nella nota dove si sottolinea come “la struttura di investimento definita da Cdp, Blackstone e Macquarie consente inoltre l’ingresso di altri investitori istituzionali, in particolare italiani”.
Un punto, quest’ultimo, che ha subito animato le polemiche. La capogruppo di Forza Italia alla Camera, Mariastella Gelimini, sottolinea come il controllo di Aspi spetterebbe a fondi stranieri ed evidenzia in questo senso il “capolavoro” di Pd e Movimento 5 Stelle che per mesi hanno invocato la nazionalizzazione dell’asset. Intanto l’Aiscat, l’Associazione italiana società concessionarie autostrade e trafori, fa sapere di avere il “forte timore che la direzione intrapresa, confliggendo col mercato e con la normativa europea, possa creare una situazione confusa e ingovernabile, procrastinando soltanto il rilancio degli investimenti e la prosecuzione delle attività di manutenzione”.
Favorevoli al progetto di scissione non voluto dalla Cdp sono poi i proxy advisor, ovvero le società che supportano azionisti come asset manager, fondi pensione e fondi comuni e investitori istituzionali. Fonti finanziarie fanno sapere che Iss, Glass Lewis, Pirc e l’italiano Frontis Governance hanno esplicitamente espresso parere positivo. Il proxy italiano Frontis Governance, in particolare, ritiene che l’operazione risponda efficacemente alla conclusione della disputa con il Governo, tutelando al contempo gli interessi dei piccoli azionisti come degli altri stakeholder. Secondo il fondo, la cessione dell’esclusiva a Cdp rischierebbe di nuocere alla trasparenza, nonché alla fiducia degli investitori esteri nel funzionamento del mercato italiano.