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Babtchenko è vivo: la morte del giornalista era stata finta per evitarne l’omicidio

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

Arkadi Babtchenko non è morto. Il giornalista russo, noto per le sue posizioni critiche nei confronti del Cremlino, è comparso in conferenza stampa a Kiev: la falsa notizia della sua morte era stata finta per sventare un piano reale per il suo omicidio. A rivelarlo è il capo dell’intelligence dell’Ucraina, Vasyl Grytsak, che aveva già dichiarato che l’assassinio del reporter era stato “ordinato dai servizi speciali russi”. Secondo i servizi di sicurezza ucraini un uomo, che ora è stato arrestato, avrebbe ricevuto 40mila dollari dai servizi speciali russi per preparare l’omicidio.

Nelle ultime ore era circolata la notizia che il reporter, scrittore ed ex militare, stabilitosi a Kiev nel 2017 dopo aver denunciato le minacce subite nel suo Paese, fosse stato assassinato mentre rientrava nel suo appartamento. A ucciderlo, tre spari alle spalle esplosi da un assassino che gli avrebbe teso un agguato, attendendolo nelle scale. La polizia di Kiev aveva dichiarato di seguire la pista di un omicidio legato alla sua professione, mentre il premier ucraino Volodymyr Groisman aveva accusato Mosca su Facebook: “Sono sicuro che la macchina totalitaria russa non ha perdonato la sua onestà”, “gli assassini devono essere puniti”.

La Russia aveva prontamente respinto al mittente le accuse: “Il primo ministro ucraino afferma che siano responsabili i servizi speciali russi”, questo “è molto triste”, aveva detto ad AFP il capo della diplomazia, Sergey Lavrov. E il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, aveva espresso “ferma condanna” dell’omicidio e chiesto una “reale inchiesta”, mentre i servizi russi avevano parlato delle accuse come di una “provocazione”. Prima, il ministero degli Esteri aveva accusato Kiev: “I crimini sanguinosi e l’impunità totale sono diventati routine per il governo di Kiev”.

L’uccisione del giornalista dissidente sarebbe stata la seconda in meno di due anni di reporter critici verso Mosca residenti a Kiev. Il 20 luglio 2016 era stato assassinato, con una bomba sotto la sua auto, il giornalista investigativo russo-bielorusso Pavel Cheremet; sull’omicidio non è stata fatta chiarezza.

Ex militare in Cecenia, autore del libro di memorie One Soldier’s War, Babtchenko era stato un noto corrispondente di guerra in Georgia e poi in Ucraina. Qui aveva denunciato il ruolo del suo Paese nel conflitto, denunciando il sostegno militare di Mosca ai ribelli. Nel febbraio 2017 aveva lasciato la Russia, vivendo in Repubblica Ceca e Israele prima di stabilirsi in autoesilio a Kiev. Aveva denunciato di essere stato più volte minacciato di morte e di aver subito una campagna “spaventosa” contro di lui. Tra le sue collaborazioni ci sono quelle con Novaia Gazeta (di cui vari giornalisti sono stati uccisi, tra cui Anna Politkovskaya nel 2006) e con la radio russa Eco di Mosca, entrambe testate critiche verso il Cremlino, e con una tv privata ucraina. “Scioccato dalla terribile notizie dell’omicidio di Arkady Babchenko. Non ho dubbi sul fatto che la causa del mostruoso crimine siano state la posizione politica pubblica di Arkady e le sue attività professionali giornalistiche”, aveva scritto sul suo blog il leader dell’opposizione russa Alexey Navalny, chiedendo indagini sull’omicidio. Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, aveva parlato di “vile assassinio” e di “attacco alla libertà di stampa”, chiedendo “sia fatta luce”, e anche il Consiglio d’Europa aveva chiesto “un’indagine esaustiva”. Intanto, la polizia di Kiev aveva diffuso un identikit del sospettato, un uomo di circa 40 anni con una barba grigia, mentre vari raduni e veglie sono previsti in giornata nelle capitali ucraina e russa.
 

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