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Baby trap: cosa si nasconde tra social, emarginazione e soldi facili

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

Dagli Stati Uniti all’Europa e da un decennio anche in Italia, tra ritmi severi e incupiti e rap in rima che sempre più spesso richiamano a ribellione, violenza e criminalità. E se una volta le sfide si facevano a colpi di rima, qui a cantare sono gli insulti sui social e ormai sempre più spesso i coltelli. E’ il fenomeno delle gang criminali legate al mondo della musica trap, giovanissimi che inseguono il falso mito del sesso e del lusso, da concretizzare ad ogni costo. ‘Baby trap’, come le ha ribattezzate in un album fotografico la questura di Milano. “La violenza che emerge da questo fenomeno è di natura verbale, e negli ultimi mesi e in particolare nelle province del nord, soprattutto nell’hinterland milanese, anche di violenza fisica. Noi in Italia non siamo abituati a questo fenomeno, ma in altri contesti è ormai radicato”, spiega a LaPresse la criminologa Flaminia Bolzan. Preoccupante è soprattutto la recente escalation che, dopo l’ondata di arresti (ben 9) a luglio nell’ambito di una guerra fra bande rivali legate alle figure dei noti trapper Simba La Rue e Baby Touché, ieri ha visto un’ulteriore impennata con gli arresti a Monza dei trapper ‘Jordan’ e ‘Traffik’ finiti in manette per una presunta aggressione con coltello e rapina a un operaio nigeriano di 41 anni al grido “ti ammazziamo perché sei nero”, mentre in Sardegna un giovane trapper romano in vacanza è stato accusato di tentato omicidio dopo una lite sfociata in accoltellamento. In gergo slang la trap richiama l’attività di spaccio, ‘to trapping’, ed è un genere di musica che cattura ormai da qualche anno l’attenzione di tantissimi giovani. Quasi un monopolio, i cui idoli (non solo chi l’ascolta) spesso sono italiani di seconda o terza generazione, con storie familiari complicate alle spalle: “Pensiamo ad esempio alle guerre tra bande rivali nel Bronx e alle banlieu parigine – sottolinea ancora l’esperta – dove americani e francesi di seconda e terza generazione non si sentono accettati dalla società locale ma non si rispecchiano neanche nella loro stessa cultura di provenienza. Devono trovare una loro collocazione e tutta questa rabbia emerge nella musica e nei loro comportamenti. Spesso si sfocia non solo nella violenza ma in veri e propri reati”. La Lombardia, e l’hinterland milanese, sono l’epicentro di questo fenomeno. “C’è una sorta di adultizzazione che passa per tutta una serie di aspetti negativi: sul piano psicologico, c’è la necessità di tanti ragazzi di identificarsi a valori come successo, soldi e belle donne. Dal mio punto di vista noi in Italia non siamo stati in grado di fornire loro dei valori di riferimento e non siamo riusciti ad intregrarli realmente”, precisa Bolzan, evidenziando che “se non ci fossero stati i social che amplificano tutto, sarebbe rimasto un fenomeno circoscritto. E i ragazzini che li seguono credono che tutto sia facile e ottenibile. In una modalità che sembra facilmente raggiungibile”. Un fenomeno che stenta ad essere compreso nelle modalità di contrasto, spesso repressive ma per nulla preventive all’origine del problema: “Cosa possiamo fare? Proporre intanto un qualcosa di diverso ai ragazzi ma che possa risultare al pari interessante. Un sistema valoriale più genuino e più sano, come il sacrificio per l’ottenimento di un qualcosa, che non sia un’illusione che ti fa raggiungere una fama effimera. Putroppo però finora non siamo stati in grado di farli appassionare a nulla. Ci sono ragazzi che potrebbero riscoprire tanto dalla musica, dal cinema, dallo sport, purché vengano proposti modelli alternativi”, conclude l’esperta.

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