Il presidente del Coni Malagò ha detto che “lo spostamento del derby Lazio-Roma mina la credibilità del calcio”. Poche ore prima che giungesse a questa conclusione in cinquanta, tra dirigenti, calciatori e allenatori, erano stati arrestati con l’accusa di aver truccato 28 partite tra Lega Pro e Dilettanti – 77 gli indagati, 33 i club coinvolti.
Ma non è tutto: in mattinata, a Milano, la finanza era entrata nelle sedi di Lega, Sky, Mediaset e Rti sospettando accordi sui diritti tv.
Retata e rete non sono esattamente la stessa cosa anche se la radice è la medesima, e parlare di credibilità del calcio italiano – da qualche decennio, non da oggi – è davvero un’impresa.
Eppure dovrebbe essere proprio il recupero della credibilità perduta il principale obiettivo di chi governa il calcio, e più in generale lo sport.
La gente, l’appassionato, il tifoso, non ci crede più, sospetta di tutto e tutti, prova disillusione, rabbia e la scarica sul prossimo, sull’avversario, sulla stampa che considera connivente o orba; qualcuno continua ad andare allo stadio con sempre minore entusiasmo per via di una passione che gli mostra solo porzioni di realtà.
“Bene, abbiamo perso”, frase pronunciata da uno degli arrestati nell’ambito dell’inchiesta “Calcio sporco” è la sintesi perfetta di un sistema abituatosi agli autogol.
Lo so che la domanda è banale: ma fino a quando il pubblico che paga (biglietti, abbonamenti a stadio e tv) consentirà al calcio di giocare la partita di ritorno?
Ivan Zazzaroni
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