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Brexit, Theresa May: “Non c’è margine in Parlamento per il terzo voto”

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Cade l’ipotesi del terzo voto nel Parlamento inglese sull’ipotesi di accordo con la Ue per una Brexit “ordinata”. Dopo voci mattutine che lo davano “probabile”, a tagliare la testa al toro ci ha pensato la stessa premier britannica, Theresa May: “L’accordo – ha detto – non ha il sostegno sufficiente in Parlamento per essere sottoposto a un terzo voto”.

May ha anche espresso la speranza che le cosa possano cambiare nei prossimi giorni, avvertendo che un’alternativa potrebbe essere una “Brexit lenta”, in cui il divorzio sia rimandato per un lungo periodo. “Continuo a discutere con i colleghi della Camera per trovare sostegno in moto che possiamo organizzare un voto questa settimana”, ha dichiarato ancora la premier. Le sue affermazioni arrivano poco prima che i deputati si pronuncino in serata su un emendamento che prevede la possibilità per loro di esprimersi su varie opzioni della futura relazione con l’Ue, a proposito di mercato unito, nuovo referendum, annullamento dell’uscita dal blocco comunitario. Se i parlamentari voteranno a favore, sarà un altro schiaffo a May, dopo le due precedenti bocciature dell’intesa: “Continuo a credere che ciò costituirà un precedente indesiderabile che avrebbe come conseguenza di ribaltare l’equilibrio delle nostre istituzioni democratiche”, ha detto la leader conservatrice.

Dei tre scenari possibili, adesso, ne restano aperti solo due, senza nuovo voto, cade l’ipotesi di un prolungamento dei tempi oltre la scadenza delle elezioni europee, ma, entro il 12 aprile la Gran Bretagna dovrà decidere il da farsi: o uscire senza accordo e piombare nella tragedia del “no deal”, o inventarsi un’altra soluzione

Ecco, in proposito, il commento del francese (Commissario Ue agli Affari economici) Pierre Moscovici: “Se l’accordo non viene votato questa settimana, i britannici avranno fino al 12 aprile per dirci dove vogliono andare. La nostra responsabilità è evitare il no deal, ed è ancora evitabile”. Tra le ipotesi su quello che potrebbe accadere c’è adesso anche quella che Theresa May venga mandata a casa dalla sua stessa maggioranza. E, non ultima, anche alla luce dell’imponente manifestazione dell’altro giorno e dei 5 milioni di firme raccolti, quella di un secondo referendum su “Exit” e “Rimain” che, questa volta, potrebbe propendere per restare nell’Unione.

Sul tema interviene duramente il capo dell’opposizione laburista Jeremy Corbyn: “E’ tempo che il Parlamento prenda il controllo” della situazione sulla Brexit e che “lavori globalmente su un piano B”, mentre la premier Theresa May non dovrebbe bloccare i tentativi dei deputati di trovare una via alternativa al suo accordo. Corbyn  ha definito “irresponsabile” e “pericoloso” che May abbia messo in contrasto il Parlamento e i cittadini britannici, nel suo discorso della settimana scorsa.

Bookmakers – E come sempre, in questi casi, parlando di Gran Bretagna e di inglesi, non è insensato affidarsi, oltre che alle analisi politiche, anche al naso dei “bookmakers” londinesi che scommettono sulle dimissioni da primo ministro entro aprile (a 3,00), mentre l’addio entro questa settimana sale a 3,25. A prendere il suo posto al numero 10 di Downing Street sarà il vicepremier David Lidington, europeista dato a 5; stessa quota anche per il ministro dell’Ambiente, Michael Gove, mentre l’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, insegue a 8,00. Doppia cifra, a 11,00, per l’attuale ministro degli Esteri, Jeremy Hunt.

Il bookmaker Paddy Power però sembra scettico su una nuova consultazione entro la fine dell’anno: il ‘no’, come riporta Agipronews, è l’ipotesi più probabile a 1,30, il ‘sì’ sale a 3,25. Se si arrivasse davvero al referendum, i bookmaker ipotizzano uno scenario invertito rispetto a due anni fa: il ‘remain’ è dato a 3,00, il ‘leave’ raddoppia a 6,00. È difficile comunque che il Regno Unito lasci l’Europa nel 2019 senza raggiungere un accordo (a 4,33), mentre la possibilità che si ratifichi l’accordo, che l’articolo 50 sia prolungato oltre il 2019 o che venga revocato si gioca a 1,20.

La Brexit potrebbe incidere anche sul calcio britannico: l’ipotesi che nessun giocatore proveniente da un club ‘straniero’ si trasferisca in una squadra della Premier League nella prossima finestra di mercato si gioca a 17,00. La quota sale a 51,00 per la mancata partecipazione delle squadre inglesi alla prossima Champions League. Lo riferisce Agipronews. Il motivo, dal punto di vista del mercato calcistico, è semplice, i calciatori europei, per il mercato inglese, diventerebbero “non comunitari” con ripercussioni importanti sul numero di stranieri per squadra.

 

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