Caserta, 19 mar. (LaPresse) – Cinque colpi esplosi sul sagrato della chiesa di San Nicola a Casal di Principe (Caserta) hanno ucciso 27 anni fa don Peppe Diana. In quel momento sul posto era presente Augusto Di Meo, fotografo e amico fraterno del sacerdote: “Un ricordo indelebile che ancora non si riesce a metabolizzare”, dice a LaPresse. “Il pensiero va sempre al killer che entra in chiesa, chiede ad una signora chi fosse don Peppe e spara. Ricordo la confusione, la gente che scappa. Io andai in caserma a denunciare, a fare la cosa giusta, anche se in quel periodo non era facile. E infatti da lì sono nati i problemi, con insulti e vessazioni in continuazione. Per aver fatto il mio dovere. Mi rifugiai in Umbria, e nessuno si è chiesto il perché, nessuno ha pensato che potessi avere paura per me e la mia famiglia”. Di Meo spiega: “Ho pagato un prezzo altissimo, ma lo rifarei sempre. Anzi, spero sia da monito per tutti. Ma una parte delle istituzioni non ha fatto il suo dovere. La legge che tutelava i testimoni è stata promulgata nel 2001. All’epoca non c’era, e quindi non mi è stato mai riconosciuto lo status di testimone, nonostante io abbia contribuito ad individuare i mandanti e i killer. In questo modo, non riconoscendo la persona non riconosci nemmeno il territorio”.
Camorra, testimone omicidio don Diana: Pagato prezzo altissimo
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