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Dazi, Rossi (Fondazione Italia Cina): “Effetto domino? No automatismi”

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Effetto domino per la battaglia a colpi di dazi fra Usa e Cina? “E’ prematuro parlare di ‘guerra commerciale’. Le reazioni sono legittime e le implicazioni di Paesi terzi potrebbero verificarsi. Ma sono tutte da verificare e ci vuole prudenza nell’ipotizzare scenari negativi di lunghi periodi di tensione e di effetto domino”. E’ la lettura di Alberto Rossi, responsabile marketing e analista del centro studi per l’impresa della Fondazione Italia Cina, sullo scambio di minacce fra Washington e Pechino con Donald Trump che vuole  applicare tariffe per 100 miliardi di dollari, che si aggiungono ai circa 50 miliardi di dazi già annunciati, e i cinesi che rispondono con misure restrittive sui generi alimentari.

Ma se non è guerra commerciale, che scontro è? Nelle prossime settimane capiremo se sono scaramucce o qualcosa di più serio. Ci sono due approcci. Uno secondo il quale l’obiettivo americano è meramente protezionistico: alla fine questi dazi contano lo 0,3% del Pil degli Usa e non mettono certo in pericolo di vita l’economia a stelle e strisce. Gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale importantissimo di 375 miliardi di dollari nei confronti della Cina che esporta in America quasi il quintuplo di quanto gli Usa esportano sul mercato cinese. L’amministrazione americana ha diffuso una mappa di poco più di 1300 prodotti cinesi penalizzati, con un dazio del 25% operativo da maggio e ancora da verificare. Poi c’è chi al di là dei numeri pone in evidenza un tema politico importante tra Washington e Pechino nell’arena dei dazi.

Su cosa si gioca il fattore ‘politico’? I dazi degli Usa verso la Cina colpiscono settori come l’industria aerospaziale, quella della comunicazione, la robotica, i macchinari.
Questo dimostrerebbe che gli Stati Uniti così vogliono colpire al cuore il programma di svolta potenziale della produttività cinese, il Made in China 2025, che ha l’obiettivo di accrescere il livello tecnologico e qualitativo della produzione della Cina, con un cambio di modello economico da quantità a qualità, portando nel 2025 una autosufficienza della produzione interna sino al 70% in 10 settori strategici. Quella di Trump così è vista come una mossa politica, oltre che protezionistica.

La reazione cinese invece come va letta?  E’ esclusivamente politica e non è protezionistica. Le oltre 100 voci individuate dalla Pechino, che vanno a colpire con una tariffa simmetrica del 25%, per un valore di 50 miliardi di dollari, penalizzano aziende come la Boeing, che vende all’estero l’80 % di ciò che produce. E in Cina c’è un quarto della loro quota di mercato. Poi c’è il settore primario, ad esempio tabacco e soia, della quale la Cina è il maggior consumatore al mondo e gli Stati Uniti il maggior produttore, e la carne di maiale. Gli Stati degli Usa maggiori produttori di questi beni, come Iowa e Michigan, sono proprio il bacino elettorale fondamentale del presidente Trump. E ciò dimostra che la risposta di Pechino colpisce in modo chirurgico.

C’è chi, come Coldiretti, sostiene che  lo stop cinese al vino Usa per i dazi spinge il Made in Italy… Lei che ne pensa?  E’ più corretto analizzare gli impatti a livello europeo. Sarei prudente a parlare di effetto domino automatico e sono scettico nell’interpretare la battaglia dei dazi come qualcosa che possa farci svoltare in Italia. Anche se ci possono essere scenari in cui ‘fra i due litiganti il terzo gode’. A causa dei dazi infatti si potrebbe avere un affaticamento di alcune aziende americane in Cina di cui si avvantaggiano alcune imprese europee. Nel settore della robotica dei software, dell’ aerospaziale, del chimico, dei semiconduttori. Si può avere poi un aumento di costi di beni che può coinvolgere paesi terzi. Ma ricordiamoci sempre che quello fra Usa e Cina è uno scontro fra due colossi e l’Italia è grossa come le prime due città cinesi a livello di popolazione. Senza nulla togliere alle potenzialità del nostro Paese. Non ci sono automatismi che portino un boom del vino italiano in Cina se quello statunitense subisce uno stop nel mercato cinese. Sul vino non sono gli Usa il nostro competitor per quel mercato, ma la Francia, l’Australia e la Spagna che fanno la parte del leone. Il valore dell’import cinese di vino in bottiglia nel 2016 vedeva l’Italia a 114 milioni di dollari, gli Usa a 52, la Francia a 965.

Sempre Coldiretti parla di quotazioni della soia di produzione nazionale schizzate in alto per l’annuncio dei dazi cinesi sulle importazioni dagli Usa. C’è da temere?  In una prospettiva di medio termine, non immediata, potrebbe esserci l’aumento dei prezzi di alcuni beni con un impatto su Paesi terzi, più probabile sui beni alimentari. Ad esempio il prezzo della carne, con meno soia cinese negli Usa. E se aumenta il prezzo della soia possono esserci ripercussioni sulla competitività degli allevatori europei.

Le borse non hanno gradito l’annuncio di dazi? Un conto è la reazione dei mercati finanziari e un conto l’economia reale. Chi va a investire in Cina guarda a fattori come il modello economico cinese che cambia e dal puntare in investimenti in export a basso costo passa a farlo sui consumi interni.

Come è l’interscambio commerciale Italia-Cina?  L’Italia, a parte la Russia, è il paese europeo che ha avuto la maggior crescita dell’export in Cina nel 2016. Siamo a 49,4 miliardi di dollari di interscambio (dati delle Dogane cinesi). Le esportazioni italiane in Cina ammontano a 20,2 miliardi (+20,4% di crescita rispetto al 2015). Le importazione italiane dalla Cina sono a 29,2 miliardi (+ 10,2% sul 2015).

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