La legge elettorale testerà se il candidato premier Luigi Di Maio ha la stoffa anche di lotta e non solo di governo. E’ prevista per oggi alle 13 di fronte a Montecitorio la protesta in piazza del M5S e, in questi giorni, potrebbe arrivare a Roma anche Beppe Grillo, atteso sabato a Marino per la proclamazione del candidato – o, più probabile, della candidata – alla presidenza della Regione Lazio. “Per anni ci avete detto: ‘convocateci in piazza e verremo’. È arrivato il momento! Saranno due giorni duri”. In completo scuro, ma senza cravatta stavolta, il capo politico del Movimento chiama all’adunata il suo popolo attraverso facebook. Di Maio si rivolge a tutti, anche “a chi non vota M5S” perché, secondo il vicepresidente della Camera, “siamo in piena emergenza democratica”. La fiducia voluta da Lega, Forza Italia, Pd, e dal partito di Alfano è “un atto di imperio” concepito da “un’accozzaglia di partiti, che non è in grado di vincere le elezioni senza imbrogliare”. Parole durissime, alla pari di quelle usate da Alessandro Di Battista che parla di “colpo di Stato istituzionale” e invita il popolo a reagire, altrimenti sarà “complice”.
Nessuna violenza, però, il Movimento la respinge. “Dobbiamo fare un’opposizione durissima ma con un comportamento consono, intelligente e non violento, è molto importante. Fate i pullman, convincete gli amici. Se domani siamo 2mila è un conto, ma se siamo 40mila forse cambia il discorso”, arringa sui social il deputato romano. Di Battista ci mette tutta la passione di cui è capace e forse per la troppa foga sbaglia piazza quando, uscendo dal palazzo di Montecitorio, viene attratto dalle urla dei manifestanti e si precipita a salutare e a ringraziare. Tempo di impugnare il megafono e volano gli insulti. Questa volta tocca a Di Battista prendersi più di un “vaffa”. In piazza infatti non ci sono più i Cinquestelle, ma c’è già la manifestazione successiva con gli attivisti della Lega, del generale Pappalardo e dei No vax: un ‘mischione’ che rifiuta tutto e tutti, Cinquestelle inclusi.
In Transatlantico parla anche Roberto Fico, il “romantico” ribelle, che definisce la vicenda della fiducia sul Rosatellum bis come una “vergogna conclamata”, ma non può non scorgervi un “aspetto positivo”: “Noi siamo molto uniti perché questo è un grande scandalo. E il Paese gli si rivolterà contro”. Fico ragiona di fino e ipotizza che, con il voto segreto finale sul provvedimento, ci possa essere qualche sorpresa per la maggioranza. “Un colpo di scena? Può essere.
Perché da un lato c’è una parte del Pd che vuole far valere le preferenze che ha sul territorio e dall’altra c’è la direzione del partito che vuole decidere”, spiega. Se la fiducia sulla legge elettorale da un lato compatta il Movimento, dall’altro serve anche a smarcarsi dal Carroccio. “La Lega – sostengono i pentastellati – pensa alle poltrone e diventa la stampella del governo”. Più netto Di Maio che parla di “inciucio Renzi-Berlusconi” con “la benedizione del venduto Salvini”. Insomma, il Movimento è maturo per presentarsi da forza politica autonoma alla sfida elettorale. Anche per questo forse i toni nei confronti del capo dello Stato Sergio Mattarella sono volutamente bassi, sebbene il Presidente abbia benedetto il percorso della legge. “Io di Mattarella non parlo, per il momento”, si lascia sfuggire un fedelissimo di Di Maio. Mentre tutta l’ira è rivolta verso il Pd e il premier Paolo Gentiloni, reo di aver accettato di mettere la fiducia sulla legge elettorale a differenza di quanto affermato nel suo discorso di insediamento a Chigi.