“In Lombardia ci sono troppe stranezze sui dati, molti dimessi dati per guariti, ritardo nei dati, riconteggi dei dati. Come se ci fosse la necessità di tenere i numeri sotto una certa soglia. C’è il ragionevole sospetto che le regioni ‘aggiustino’ i dati sul monitoraggio”. Affermazioni forti e una grave accusa quella lanciata da Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, sulle frequenze di Radio24. “In Lombardia andava chiuso molto di più, poi c’è stata una smania di ripartire perchè è il motore economico dell’Italia. Per noi la Lombardia sarà l’ultima ad uscire dall’epidemia”, aggiunge discutendo con il conduttore Alessandro Milan. La fondazione Gimbe è attiva da oltre 20 anni in campo sanitario attraverso iniziative di formazione, editoria e ricerca che “raccolgono le sfide della sanità italiana e ne soddisfano le esigenze”, come spiega la stessa fondazione sul suo sito ufficiale. La fondazione organizza workshop e corsi avanzati per la formazione del personale sanitario, e promuove diverse altre iniziative in questo campo.
In uno studio appena pubblicato i ricercatori del Gimbe bocciano la riapertura di Lombardia, Liguria e Piemonte: in queste tre regioni la curva di contagio non sarebbe adeguatamente sotto controllo. Nella macro area del nordovest infatti si rileva la percentuale più elevata di tamponi diagnostici positivi e il maggior incremento di nuovi casi, a fronte di una limitata attitudine all’esecuzione di tamponi diagnostici. Sull’incidenza di nuovi casi per 100mila abitanti con una media nazionale di 32 in Lombardia il dato è di 96, in Liguria 76 e in Piemonte 63.
“Il Governo – aveva già commentato il presidente Nino Cartabellotta – a seguito delle valutazioni del Comitato Tecnico-Scientifico si troverà di fronte a tre possibili scenari: il primo, più rischioso, di riaprire la mobilità su tutto il territorio nazionale, accettando l’eventuale decisione delle Regioni del sud di attivare la quarantena per chi arriva da aree a maggior contagio; il secondo, un ragionevole compromesso, di mantenere le limitazioni solo nelle 3 Regioni più a rischio, con l’opzione di consentire la mobilità tra di esse; il terzo, più prudente, di prolungare il blocco totale della mobilità interregionale, fatte salve le debite eccezioni attualmente in vigore”.
“In questa difficile decisione – conclude Cartabellotta – occorre accantonare ogni forma di egoismo regionalistico perché la riapertura della mobilità deve avvenire con un livello di rischio accettabile e in piena sintonia tra le Regioni. Una decisione sotto il segno dell’unità nazionale darebbe al Paese un segnale molto più rassicurante di una riapertura differenziata, guidata più da inevitabili compromessi politici che dalla solidarietà tra le Regioni, oggi più che mai necessaria per superare l’inaccettabile frammentazione del diritto costituzionale alla tutela della salute”.
Gimbe inoltre segnala che i dati analizzati riflettono quasi interamente le riaperture del 4 maggio, ma non quelle molto più ampie del 18 maggio che potranno essere valutate nel periodo 1-14 giugno, tenendo conto di una media di 5 giorni di incubazione del virus e di 9-10 giorni per ottenere i risultati del tampone.