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Il governo decide di non decidere: né con i ‘golpisti’ né con il regime. E così  anche il Venezuela diventa la dimostrazione tangibile di quanto siano distanti le due anime dell’esecutivo gialloverde. Non serve interrogarsi sul silenzio di Luigi Di Maio, perché al suo posto ci pensa Alessandro Di Battista a dettare una linea nota, anche se al momento sotto traccia. “Firmare l’ultimatum Ue al Venezuela è una stronzata megagalattica” sbotta l’ex 5Stelle oggi praticamente l’alter ego del titolare del Mise. “Qua non si tratta di difendere Maduro. Si tratta di evitare un’escalation di violenza addirittura peggiore di quella che il Venezuela vive ormai da anni” spiega, andando poi a punzecchiare il ministro dell’Interno, il socio di quel governo, come spesso ripete il Dibba, di cui ha deciso di non far parte. “Mi meraviglio di Salvini che fa il sovranista a parole ma poi avalla, come un Macron o un Saviano qualsiasi, una linea ridicola” tuona su Facebook.

A fargli eco lo stesso premier Giuseppe Conte che praticamente usa le stesse parole del carismatico leader pentastellato. “In questo momento è di fondamentale importanza scongiurare una escalation della violenza all’interno” nel Paese “e al contempo cercare di evitare che il Venezuela, attraverso l’impositivo intervento di Paesi stranieri, possa diventare terreno di confronto e divisioni tra attori globali”.

Di Battista, è evidente, si riferisce alla prima uscita ufficiale sull’argomento del vicepremier leghista, che senza remore ha auspicato che “anche il governo italiano abbandoni ogni prudenza e sostenga il popolo venezuelano, il diritto a libere elezioni e alla democrazia”. Salvini per giunta questa volta dà ragione a all’ultimatum di Francia, Germania e Spagna per nuove elezioni con un “hanno fatto bene”. E Dibba va su tutte le furie. Si apre così un altro scontro nella lunga lista già sul tavolo di Palazzo Chigi, perché sarà difficile che Di Maio sconfessi Di Battista. La sua è la linea da sempre sposata dal Movimento.

E mentre il caos in Venezuela è già all’attenzione dell’Onu, dove anche lì manca una comunione d’intenti, il caso Tav in Italia resta vivace. La contro analisi costi-benefici commissionata dalla Lega non piace ai 5Stelle, che anzi cercano di depotenziarne il valore. “Sui numeri, vista la sua precedente gestione dei soldi, la Lega non è affidabilissima. Si tratta di un progetto datato” dice il sottosegretario e fedelissimo di Di Maio, Stefano Buffagni, che si chiede: “Se era così importante perché in 20 anni è stato fatto poco o niente? Evidentemente qualche criticità c’è”. La linea del Movimento, spiega ancora, “non è quella dei ‘no’, ma dei ‘sì’ a opere utili, che possono migliorare la vita dei cittadini, ce ne sono tantissime e credo che sia fondamentale dare la priorità a quelle”. Salvini ovviamente non è d’accordo: “Se si vuole discutere di ridimensionare il progetto, risparmiare su opere faraoniche previste in passato ci siamo, se mi dicono lasciamo così com’è e spendiamo più soldi invece che per finire il progetto per riempire i buchi che fatti nella montagna non mi sembra intelligente”. La Lega insomma non molla, ma neanche i 5Stelle. Il premier Conte su questo argomento sta cercando di trovare una ragionevole quadra, che dia un colpo al cerchio e una alla botte. Il problema vero è che all’interno dell’esecutivo il Carroccio ha dato il suo ultimatum: o si cominciano a dire dei ‘sì’ o salta tutto. E da via Bellerio fanno trapelare che non sono disponibili a ad aspettare in eterno.

Intanto è partito il countdown per la prima seduta della Giunta per le Immunità del Senato, che si riunirà il 30 gennaio alle 20. Il Capitano non è preoccupato, ma ancora non ha deciso se in quella sede si difenderà dalla richiesta di autorizzazione a procedere per il caso Diciotti. I 5Stelle sono usciti allo scoperto, voteranno ‘sì’, e con i loro 13 voti in Giunta saranno determinanti per l’ok a procedere. Una posizione che non preoccupa il Capitano: “Abbiamo così tante cose da fare e di crisi di governo non ne voglio sentir parlare”. Anche se il leader non risparmia l’ennesimo messaggino in bottiglia: “I senatori risponderanno al popolo”. Come dire: sulla Diciotti il governo ha agito condividendo le scelte, votare si sarebbe sconfessare le azioni dell’esecutivo. L’unico, anche in questo caso a trarne beneficio, in termini di consensi, rischia di essere lo stesso Salvini che per difendere confini e italiani sarebbe messo alla sbarra.

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