In attesa di sbarcare a Wall Street, Spotify si trova a fare i conti con una citazione in giudizio da “almeno 1,6 miliardi di dollari”. A tanto ammonta la richiesta avanzata presso il tribunale distrettuale centrale della California da Wixen Music Publishing nei confronti del gruppo svedese dello streaming musicale, al lavoro in queste settimane – secondo quanto riportato nei giorni scorsi dal Wall Street Journal – per la quotazione presso la Borsa di New York, che sarebbe attesa nei primi mesi del 2018 e per la quale sarebbe già stata avanzata richiesta alla Sec, l’autorità americana di controllo dei mercati. L’editore musicale indipendente fondato nel 1978 da Randall Wixen, che amministra oltre 50mila canzoni scritte da artisti di caratura internazionale come Tom Petty, Missy Elliot, Stevie Nicks e Neil Young, accusa Spotify di aver “volontariamente” infranto i diritti d’autore relativi a una serie di composizioni musicali, secondo quanto riportato nel documento presentato alla corte lo scorso 29 dicembre.
Il servizio di streaming è stato lanciato negli Stati Uniti nel luglio del 2011 e da allora è cresciuto fino a raggiungere i 140 milioni di utenti attivi e i 60 milioni di abbonati, segnala Wixen Music, puntando il dito sui 3,3 miliardi di ricavi realizzati da Spotify nel solo 2016 grazie a “una vasta raccolta musicale di oltre 30 milioni di canzoni popolari”. Nella ricostruzione presentata da Wixen Music, la società avrebbe però imboccato una “scorciatoia”, stringendo accordi con le principali etichette per ottenere i diritti di registrazione sulle canzoni, senza però riuscire a ottenere i diritti equivalenti per le composizioni.
“Di conseguenza – si legge quindi nel documento -, Spotify ha costruito un business miliardario sulle spalle degli autori e degli editori la cui musica sta utilizzando, in molti casi senza ottenere e pagare le licenze necessarie”. Secondo quanto riferito da ‘Variety’, la stessa Spotify avrebbe risposto alla citazione chiedendo alla corte di accertare se i clienti della Wixen avessero autorizzato la compagnia a promuovere l’azione, sostenendo che l’editore avrebbe concesso agli artisti solo un periodo molto breve per chiamarsi fuori prima che i loro nomi fossero inseriti nella causa.