Settantuno giorni dopo le elezioni, non siamo al punto di partenza ma addirittura peggio, molto peggio. Perché dopo settimane di trattative e di incontri più o meno segreti, di grandi manovre e piccoli scarti, di veti e di vati, Movimento 5 Stelle e Lega non hanno saputo trovare una convergenza sul programma e un nome condiviso per l’utenza di palazzo Chigi, con la constatazione amara che o si parte in fretta o ci si saluta; perché in quasi due mesi e mezzo la situazione generale si è aggrovigliata ancora di più tra astensioni benevole (Fi) e opposizioni durissime (Pd), fiaccando la pazienza degli italiani; perché, infine, si stanno pericolosamente avvicinando scadenze internazionali importanti per il destino del Paese e sembra che nessuno se ne accorga e chi se ne accorge faccia spallucce.
Settant’uno giorno dopo, Sergio Mattarella si è sentito rosicchiare altro tempo per completare ‘l’opera’ e dare i natali a un governo così complicato da risultare quasi impossibile. Non è questione di nomi (o non solo) ma di programmi. Detto male, va ancora trovata la quadratura del cerchio. E siamo a un nuovo stallo. Se non ci fosse di mezzo il destino dell’Italia, verrebbe persino da sorridere di fronte alla tragicomicità di una congiuntura politica inedita, alle tante Penelope che tessono e disfano la tela di un’alleanza delicatissima, alla necessità di sottoporre il raggiungimento dell’eventuale intesa a referendum interni, poco importa se utilizzando piattaforme web o piazze. Pure questo un inedito, pure questo è qualcosa che scartavetra la prassi costituzionale. E se la base non dovesse gradire? Che si fa, si ricomincia? Intanto, l’Europa ci guarda, la stessa Europa che non piace al signor Matteo e, forse, nemmeno al signor Luigi.
Di Maio ha chiesto giorni, Salvini ore: boh. Ma ci si batte e ci si sbatte. Anzi, si lotta: contro il tempo, contro le distanze che dividono partiti diversi tra loro. E’ un po’ come cuocere nella stessa pentola pasta e riso: si può? Ma no che non si può. Infatti, il nodo da sciogliere non è solo quello del nome terzo, ma anche – ed è più grave – dell’unità di intenti sulle cose da cambiare, proprio perché il Movimento e la Lega muovono da posizioni troppo diverse, a volte opposte. Siccome di intese “un tanto al chilo” Salvini non ne vuole parlare, e immaginiamo Di Maio neppure, ecco che settantuno giorni non bastano. Però avanzano. Ce ne vanno altri, almeno un paio, ammesso che il Capo dello Stato non perda la pazienza e non faccia lui.