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Il sistema degli incendi: da Milano al Pavese bruciano i magazzini della plastica

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Capannoni e depositi stracolmi di rifiuti plastici, contaminati e non, che prendono fuoco. I roghi si sprigionano quasi sempre di notte o di mattina presto, quando al lavoro non c’è nessuno. L’ultimo caso è quello di Pianezza, nel Torinese, dove il 25 marzo marzo è andata a fuoco la Omnia Recuperi: le fiamme hanno divorato per ore gli imballaggi di plastica prodotti dalla ditta.

Nelle settimane e nei mesi precedenti precedenti, invece, a bruciare erano stati 13 impianti nel Pavese, 4 siti l’hinterland di Milano (di cui due a Bruzzano e a Cinisello Balsamo della stessa ditta, la Carluccio Srl) e diversi capannoni e depositi in Veneto. Abbastanza per fare del Nord una nuova “terra dei fuochi”? Il prefetto di Pavia Attilio Visconti non esita a parlare di “emergenza”, mentre i carabinieri del Noe, che da mesi stanno indagando sul fenomeno, parlano di un “mercato della plastica se non fermo, estremamente rallentato”.

Di certo c’è che la Commissione Parlamentare d’inchiesta sui rifiuti della passata legislatura, nel triennio 2014-2017, ha censito ben  261 incendi in discariche autorizzate e non, il 47% dei quali proprio nel Nord. Una situazione diventata ancora più critica da quando, nel gennaio scorso, la Cina ha deciso di bloccare le importazioni di scarti di gomme e plastiche. “Il 70% dei rifiuti prodotti in Italia e in Europa venivano acquistati da imprenditori cinesi che in alcuni casi pagavano anche più di quelli italiani”, racconta il colonnello Massimiliano Corsano, a capo del Noe del Nord Italia. Materiale che adesso, almeno in parte, viene acquistato dai Paesi del Sud Est asiatico come la Birmania o il Vietnam. Ma non basta. E la situazione, osservano gli investigatori, è destinata a peggiorare ancora dopo i dazi imposti dal presidente Trump alla Cina, che potrebbe smettere di comprare questi scarti di cui gli Stati Uniti sono un grande produttore.

E in Italia cosa sta succedendo? Gli impianti regolari che raccolgono immondizia e ecoballe anche da altre regioni (in Lombardia se ne contano ben 2.700) sono ormai al collasso. E così la filiera della raccolta e dello smaltimento delle plastiche sta scivolando sempre più nell’illegalità. E sempre più spesso, suggeriscono gli investigatori, imprenditori senza scrupoli grazie al sommerso riescono a incrementare a dismisura il loro giro d’affari, affiancati dalle cosche e favoriti da amministratori pubblici ‘di manica larga’ nel concedere le autorizzazioni ambientali. E i controlli? Anche quelli sono insufficienti, inadeguati o arrivano quando ormai è tardi. “L’impianto di stoccaggio Eredi Bertè di Mortara (Pavia),  è andato a fuoco il 6 settembre del 2017, proprio il giorno prima dell’ispezione di Arpa. E non è un caso isolato”, spiega Barbara Megetto, presidente di Legambiente Lombardia che su questa vicenda ha stilato un rapporto, documentando con una serie di foto aeree come il sito si sia riempito progressivamente di materiale accatastato in maniera sempre più disordinata, prima di andare a fuoco.

Tra tanti dubbi e interrogativi, l’unica certezza è che quello dei rifiuti sia un business estremamente redditizio che sta proliferando nelle regioni del Nord, un tempo considerate “immuni” da questo tipo di fenomeni. Le recenti inchieste, come quella conclusa a Brescia nel giugno del 2017, hanno mostrato infatti che i margini di guadagno possano arrivare fino a 10 miliardi di euro in pochi mesi.  A favorire i traffici illegali, poi, ci ha pensato la crisi. Molti capannoni sono rimasti vuoti e prendendoli in affitto o occupandoli molti imprenditori hanno già una base solida per poter ospitare gli scarti. Sbaragliando la concorrenza onesta, sono in grado di ritirare i rifiuti a prezzi impossibili da battere. “Fanno prezzi che arrivano anche a 20 euro a tonnellata per smaltire i rifiuti plastici, quando il prezzo di mercato è di 80 euro a tonnellata”, spiega il colonnello Corsano che non esita  a parlare di “reato di impresa”.

Che cosa si rischia? Pochissimo, al massimo fino a 6 anni di carcere, ma in molti casi, se chi finisce al centro delle indagini è incensurato, in cella potrebbe non finirci nemmeno. Le indagini stanno procedendo, ma un quadro completo del fenomeno è complesso da ricostruire, nonostante la presa di coscienza delle tre Direzioni distrettuali antimafia più coinvolte: Milano, Brescia e Torino.á

Cosa rischia invece chi vive in un ambiente sempre più inquinato? Moltissimo. Una relazione della Ats (ex Asl) di Pavia del 2015 evidenzia un +11% di mortalità per tumori rispetto al resto della Lombardia e dell’Italia. Un dato allarmante, che spicca ancora di più se si considera che le campagne pavesi sono un territorio a vocazione agricola, votato alla coltivazione di riso Dop che viene esportato in tutto il mondo, perfino in Cina.

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