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Imprese schiacciate dalla burocrazia: al Sud fino a 15 anni per iter fallimento

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La burocrazia in Italia non si paga solo quando si cerca di fare impresa, ma anche quando ci si trova a doverne gestire il tracollo. L’intero iter di un fallimento di una impresa nel Sud d’Italia dura in media circa 4.900 giorni, con picchi che raggiungono anche 5.700 giorni. Sempre nel Mezzogiorno, poi, secondo il Centro studi di Unimpresa, servono 2.890 giorni per concludere una procedura esecutiva immobiliare. Tempi che si riducono drasticamente sia al Centro (3.300 giorni per un fallimento e 1.650 giorni per una esecuzione immobiliare), sia al Nord, dove il fallimento di una impresa si porta a termine in 2.700 giorni e una esecuzione immobiliare si snoda nell’arco di 1.200 giorni.

“La lentezza della giustizia civile ha un peso enorme nell’andamento del nostro Prodotto interno lordo: c’è un costo diretto, misurato nel tempo impiegato dall’imprenditore nella burocrazia e, nello specifico, nei tribunali, e poi c’è un costo indiretto, da misurare nei mancati investimenti, sia quelli interni, sia soprattutto quelli esteri”, rimarca il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci.

Secondo l’analisi dell’associazione, basata su dati riferiti al 2016-2017, un fallimento comporta un iter lunghissimo al Sud e nelle Isole. Nelle regioni del Centro i giorni necessari calano, ma si possono avere picchi che arrivano a 4.100, mentre al Nord a un massimo di 3.800. Per quanto riguarda le procedure esecutive immobiliari, ovvero una delle principali attività necessarie al recupero crediti, nel Mezzogiorno e nelle Isole si registrano tempi medi pari a 2.700 giorni (ma si arriva fino a 3.150); nelle zone centrali del Paese 1.700 giorni (si arriva fino a 2.100), al Nord si scende a 1.200 giorni (al massimo 1.500).

Per quanto riguarda l’efficienza della giustizia civile, Unimpresa segnala un calo dei fascicoli complessivi, che tuttavia non sembra aver accelerato i tempi. Nel 2010 il totale dei procedimenti iscritti presso gli uffici del giudice di pace, dei tribunali e delle corti d’appello era a quota 5.400.000, nel 2011 5.500.000, nel 2012 5.100.000, nel 2013 4.900.000, nel 2014 4.500.000, nel 2015 4.100.000, nel 2016 4.000.000.

“Ciò che poi risulta ancor più inaccettabile – conclude Pucci – è il divario drammatico che esiste nelle diverse zone del Paese, con disagi importanti per chi opera al Nord e al Sud oppure nelle Isole. In questo modo è impossibile pianificare i bilanci, definire i budget annuali, prevede investimenti: ne fa le spese la singola azienda e subisce un colpo anche l’intera economia italiana. Queste dovrebbero essere le riforme su cui puntare di più, insieme con una riduzione del carico fiscale, che resta la nostra stella polare, per rilanciare la crescita”.
 

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