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‘La battaglia di Irene’ e l’appello doloroso del marito per l’eutanasia

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

Il biotestamento non basta e la storia di Irene, morta il 24 agosto scorso 2 giorni dopo aver concluso le procedure per ottenere l’aiuto medico alla morte volontaria in Svizzera, lo dimostra. Consumata a trent’anni da un adenocarcinoma polmonare diagnosticato due anni prima al quarto stadio Irene è il nuovo volto della campagna per la legalizzazione dell’Eutanasia in Italia, attraverso un video rivolto agli “illustri rappresentanti del popolo italiano”, “La battaglia di Irene”: un accorato e doloroso appello del marito, Andrea Curiazi, diffuso dalle pagine social dell’associazione Luca Coscioni, EutanaSia Legale e di Marco Cappato: “Conquistato il testamento biologico, l’obiettivo ora è il raggiungimento di una legge sul fine vita che consenta la libertà di scelta anche a chi, come Irene, come Fabo, come Dominique Velati, come Davide Trentini, desidera interrompere una condizione di irreversibile sofferenza – dichiara l’associazione Luca Coscioni -. Sarà possibile solo con la legalizzazione dell’eutanasia. La campagna per vivere #LiberiFinoAllaFine continua con il consiglio generale Associazione Coscioni del 20 dicembre a Roma, il giorno dell’11esimo anniversario anni dopo Welby”.

 

Irene aveva già contattato la clinica Dignitas nel gennaio 2016, per poi fare richiesta di assistenza al suicidio nell’agosto 2017 e contattare Marco Cappato al ritorno da un viaggio in camper in Nord Europa. Purtroppo Irene non ha fatto in tempo: è morta subito dopo aver presentato tutta la documentazione necessaria ed effettuato il pagamento dell’ultima trance per avviare la richiesta di “luce verde provvisoria”. Un iter che ha richiesto molto tempo. Troppo.

La donna, la cui malattia non ha impedito nell’ultimo biennio a lei e al marito Andrea di essere felici, viaggiare, adottare un cane, sposarsi, avrebbe voluto essere padrona del suo destino ma, soprattutto, avrebbe voluto che il suo caso potesse aiutare chi oggi, nel nostro Paese, lotta per fare in modo che venga discussa ed approvata in Parlamento una legge sul fine vita che possa garantire a tutti di decidere autonomamente e di morire degnamente.

Irene, che aveva chiesto aiuto anche a Marco Cappato, non ha fatto in tempo a morire come avrebbe voluto con l’aiuto medico in una clinica svizzera. Così come capita anche a chi non può permettersi i costi economici, o non è più nelle condizioni di affrontare il viaggio, o non può contare sull’aiuto di qualcuno che si assume la responsabilità penale di assisterlo nel complicato trasferimento. “Ci batteremo – fa sapere l’associazione – perché questo non avvenga più: in Parlamento c’è già una proposta di legge di iniziativa popolare per l’eutanasia legale, depositata 4 anni e mezzo fa e mai discussa nemmeno per un minuto.
 

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