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M5S, cresce l’incertezza: è partita la caccia ai possibili ‘responsabili’

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La legge Anticorruzione arriva proprio al momento giusto, per il M5S. Come una sorta di ‘manna’ dal cielo. Per qualche ora i pentastellati potranno tirare il fiato dopo settimane trascorse in apnea, a turare falle sui sondaggi in costante trend negativo, ma soprattutto sui casi personali che riguardano le famiglie dei due ‘bomber’ gialli: Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. Lo Spazzacorrotti è la classica norma che appartiene al dna del Movimento, su cui il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, ha sudato le proverbiali sette camicie, e non solo per mettere una toppa allo scivolone sulla prescrizione, che ha provocato un mezzo incidente diplomatico con la Lega.

Alla fine tutto è andato per il verso giusto, ma la tensione di quei giorni si è riversata inevitabilmente sulla tenuta della truppa. Non è un mistero che le parole di Silvio Berlusconi sui “responsabili” siano state accolte con estrema preoccupazione ai piani alti del Cinquestelle. Perché esiste – eccome – una frangia interna che potrebbe lasciarsi incantare dalle sirene del Cavaliere, da sempre maestro nelle trattative, sia nella sua prima vita da imprenditore, sia in quella da leader politico. Secondo i rumors di palazzo, l’obiettivo del presidente di Forza Italia sarebbe puntato su Palazzo Madama, in primo luogo per i numeri risicati su cui poggia la maggioranza di governo, ma in particolar modo perché è tra i senatori al secondo mandato che si annidano i principali dubbi sul futuro. Finora il M5S non è riuscito a sfondare nell’opinione pubblica, mentre la Lega – facendo il minimo indispensabile, ripetono diversi esponenti pentastellati – ha capitalizzato al massimo i primi 6 mesi nella stanza dei bottoni. Sentir parlare il Cavaliere di un esecutivo di centrodestra, che duri 5 anni e abbia Matteo Salvini come frontman a Palazzo Chigi, dunque, deve aver fatto ragionare un po’ di parlamentari.

Alcune fonti interne riferiscono anche di un altro episodio specifico che non ha giovato alla popolarità di Luigi Di Maio nel gruppo Cinquestelle: la reazione durissima nei confronti dei 5 dissidenti durante il dibattito sul decreto Sicurezza, “solo per aver rivendicato sacrosanti valori che appartenevano alla nostra storia”. La decisione di deferire al collegio dei probiviri di Paola Nugnes, Gregorio De Falco, Elena Fattori, Virginia La Mura e Matteo Mantero è stata vista come il tentativo di “strozzare” la democrazia interna. Ma soprattutto la dimostrazione plastica che il vecchio motto ‘uno vale uno’ ormai appartenga solo al libro dei ricordi.

In questo contesto va incastrato un altro tassello del puzzle: la legge di Bilancio. Dopo l’entusiasmo iniziale per aver strappato al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, quel 2,4%, che avrebbe spalancato le porte al reddito di cittadinanza promesso in campagna elettorale, man mano che la trattativa con Bruxelles andava avanti e le cifre si asciugavano, anche la carica positiva è scemata. “Ora con che faccia torniamo sui nostri territori, da chi ci ha votati, a spiegare che abbiamo dovuto fare una scelta e non tutti lo avranno?”, confida un deputato del Sud alla prima legislatura. Questa domanda sono in tanti a essersela posta nelle ultime settimane, ma aspettano un guizzo, un suggerimento dalla macchina della comunicazione per tirare fuori una risposta convincente.

Senza contare il clamore mediatico che suscitano i problemi delle aziende di famiglia di Di Maio e Di Battista. Queste storie creano imbarazzo, ma ufficialmente tutti nel Cinquestelle restano al fianco dei loro leader. Nessuno esclude, però, che possano esserci altre defezioni, come quelle di Matteo Dall’Osso (passato in FI). Perché l’incertezza sulla tenuta del governo per 5 anni resta e le elezioni europee di maggio 2019 saranno un primo, importante banco di prova. 

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