“Salvatore Buzzi è un caso di scuola di inattendibilità assoluta e radicale. E anche sotto il profilo della coerenza si rivela la sua totale inattendibilità”. Così il procuratore aggiunto Paolo Ielo, durante la requisitoria del maxi processo Mafia Capitale, che si è aperta stamani nell’aula bunker di Rebibbia. “L’imputato ha diritto alla menzogna e proprio per questo – prosegue – quando lo si valuta bisogna farlo con filtro critico”.
“Si potrebbe dire che c’è un Buzzi ‘uno’, quello delle intercettazioni, cui segue un ‘due’, un ‘tre’, un ‘quattro’ delle vari dichiarazioni …ormai ho perso il conto – dice Ielo – Nel tempo ha dato ricostruzioni completamente diverse”.
“Messe da parte le intercettazioni la sua è una totale e parossistica inattendibilità”, aggiunge, ricordando una serie di contraddizioni riscontrate nelle parole dell’imprenditore: “Carminati, da dipendente della coop (come detto da Buzzi nelle dichiarazioni ai magistrati del marzo del 2015 ndr), diventa associato in partecipazione, e tutto per nessun lavoro in cambio, pur dividendo gli utili al 50 per cento – spiega il magistrato – Buzzi inizialmente parla di investimenti di 500 mila euro non provenienti da Eur spa, poi dice il contrario; per quanto riguarda le minacce a Riccardo Mancini (ex ad di Eur spa) prima afferma di esserne stato a conoscenza pur non essendo presente, poi le nega. Così come nega di aver pagato Franco Panzironi (ex ad di Ama) per poi ammettere di aver pagato, prima di arrivare alla storia delle richieste continue di denaro da parte sua”.
RADICI IN BANDA MAGLIANA. “Non dobbiamo stabilire oggi se c’è o meno la mafia a Roma, sappiamo che c’è. Dobbiamo accertare se questa organizzazione criminale rientra o meno nel tipo previsto dall’articolo 416 bis. Se presenta quella soglia minima di ‘mafiosità’, come dice la Cassazione, o forse l’ha superata”, dichiara inoltre il pm Giuseppe Cascini, durante la requisitoria.
Quella che si giudica nell’aula bunker di Rebibbia, è “una nuova mafia che non è nuova – prosegue Cascini – Nuova perché scoperta adesso, ma esiste da tempo e per questo ha quel capitale originario accumulato sul quale può contare. L’organizzazione definita Mafia Capitale ha questa caratteristica: nasce da una matrice criminale classica, ma con la particolarità tutta romana, in cui esponenti dell’eversione nera, rivoluzionari, armati, rapinatori, assassini, sono amici in stretto legame con i trafficanti di droga e gli assassini della banda della Magliana“.
“L’associazione criminale di cui parliamo – prosegue Cascini – parte dai pollici spezzati dietro al benzinaio e arriva al sindaco della città corrotto da Buzzi e Carminati. Solo vedendola nel complesso questa vicenda riusciamo a coglierne la mafiosità”. Cascini torna sull’intercettazione nella quale Carminati spiega al sodale Riccardo Brugia, anche lui imputato, quel ‘mondo di mezzo’ che diede il nome all’inchiesta: “ne è parte – spiegava Carminati intercettato – chi fa da intermediario tra il ‘mondo di sopra’, della legalità, e quello ‘di sotto’, dell’illegalità”. “Quelle parole spiegano perfettamente il ruolo di Carminati nel contesto criminale romano e il ruolo dell’organizzazione in quel contesto”, dice Cascini.
“L’organizzazione di Massimo Carminati ha accumulato nel corso degli anni una fama e una forza criminale, accresciuta anche dalla rappresentazione mediatica che di questo soggetto è stata data da romanzi, film e serie tv – conclude il pm – La percezione della forza dell’associazione conta quanto la reale forza dell’associazione. La fama criminale determina paura, assoggettamento e omertà, che sono le caratteristiche di un’organizzazione mafiosa”.