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Marcinelle, il monito di Mattarella: “Tragedia d’emigrazione”

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

Sessantuno anni fa, nella miniera belga di Marcinelle morirono 262 persone di cui 136 italiani. Le immagini di quella tragedia: case nere, montagne di carbone, gente con la faccia sporca di polvere nera, persino cadaveri neri per il fumo che si sprigionò nella miniera, sono rimaste nella memoria di chiunque fosse già al mondo in quegli anni. Il ricordo del disastro del pozzo del Bois-du-Cazier (e il monumento che è sorto sul posto) è diventato, nel tempo, il simbolo tragico dell’emigrazione italiana nel mondo. Emigrazione che, oggi, definiremmo (con tutte i distinguo del caso) “economica” cioè di gente che andava all’estero per cercare di che sfamare le proprie famiglie, esattamente come la maggior parte degli uomini e delle donne che oggi arrivano dall’Africa e che, da più parti, si chiede di respingere perché economicamente dannosi e socialmente pericolosi.

Non a caso, i ricordi di oggi affrontano più o meno direttamente il tema. Ecco il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “L’8 agosto di 61 anni fa a Marcinelle, dove persero la vita, tra gli altri, 136 nostri connazionali, si consumò una sciagura che ha lasciato un ricordo indelebile nella memoria europea. Il nostro pensiero va ad essi, al Bois du Cazier, luogo simbolo del lavoro italiano nel mondo e, mentre onoriamo la loro memoria, siamo esortati a mantenere vivo il senso di riconoscenza per i sacrifici affrontati da tutti i lavoratori italiani, emigrati alla ricerca di un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie. Le loro fatiche sono state feconde. Esse hanno contribuito a edificare un continente capace di lasciarsi alle spalle le devastazioni della seconda guerra mondiale e di offrire alle generazioni più giovani un futuro di pace, di crescita economica, di maggiore equità sociale. Il dramma di Marcinelle ci invita a riflettere anche sul tema irrisolto della sicurezza nei luoghi di lavoro, ancor oggi di grande attualità – aggiunge Mattarella – : rimane un impegno prioritario delle autorità italiane ed europee. Generazioni di italiani hanno vissuto la gravosa esperienza dell’emigrazione, hanno sofferto per la separazione dalle famiglie d’origine e affrontato condizioni di lavoro non facili, alla ricerca di una piena integrazione nella società di accoglienza. E’ un motivo di riflessione verso coloro che oggi cercano anche in Italia opportunità che noi trovammo in altri Paesi e che sollecita attenzione e strategie coerenti da parte dell’Unione Europea. In questo giorno dedicato al ricordo del sacrificio del lavoro italiano nel mondo rivolgo ai familiari e ai colleghi delle vittime della tragedia di Marcinelle, e di ogni altra nella quale sono periti nostri emigranti, un solidale e affettuoso saluto”.

Lapidario il tweet del Presidente della Camera, Laura Boldrini: “Anniversario tragedia Marcinelle ci ricorda quando i migranti eravamo noi. Oggi più che mai è nostro dovere non dimenticare”.

Dimenticate o no, le vittime di Marcinelle pesarono per decenni sulle coscienze dei due Paesi coinvolti: Italia e Belgio. Perché da quella tragedia emersero con forza le condizioni disumane in cui, allora, si viveva e si lavorava nelle miniere del civilissimo Belgio e di tutta Europa. 

L’incidente, come spesso purtroppo accade, fu quasi certamente dovuto a un errore umano (e questo lavò la coscienza di molti) ma un errore che aveva origine nei meccanismi stessi di ricerca spasmodica del profitto (anche nelle viscere della terra) senza badare molto alla sicurezza e ai pericoli che correvano le vite umane. Quella mattina, poco dopo le 8, a 975 metri di profondità, un giovane minatore molisano, Antonio I. (poco più che un apprendista) deve svolgere un compito piuttosto delicato, quello dell'”ingabbiatore”: deve, cioè, “ingabbiare” i carrelli (praticamente caricarli) nella gabbia montacarichi che li porterà in superficie. Antonio, fatti partire i primi viaggi, lascia la postazione per andare a cercare altri carrelli affidando il controllo al suo compagno di lavoro Vaussort che resta sul posto. In superficie c’è un altro lavoratore belga, tale Mauroy. I due si mettono d’accordo per due viaggi “liberi” (procedura prevista) per cui Mauroy potrà far salire e scendere il montacarichi vuoto senza avvertire quota 975. Ma quando Antonio I. torna al suo posto, non sa dell’accordo o, forse, gli viene comunicato male o, forse (s’ipotizzò) Antonio non capisce ancora abbastanza bene il francese. Fatto sta che il giovane carica dei carrelli e Mauroy, che non lo sa, schiaccia il pulsante di risalita. Sono le 8 e 11 minuti, purtroppo uno dei carrelli sporge ancora dal montacarichi e trancia un tubo dell’olio, dei cavi telefonici e dei cavi elettrici da 525 volt. Scoppia un incendio che sale fino a quota 715 metri. Il fumo rende l’aria irrespirabile e quasi nessuno, al di sotto, riesce a risalire. Non c’è “grisou”, non c’è esplosione. Solo fuoco e fumo, tanto basta, però, a uccidere 262 persone.

Da lì in poi, scorrono le immagini (tutte in bianco e nero) dei cinegiornali dell’epoca: le barelle che passano con i corpi sommariamente coperti, i volti sconvolti dei morti, le lacrime delle donne che aspettano fuori, mute, appese ai cancelli, le squadre di soccorso che scendono nelle viscere della terra e tornano in superficie con le facce nere di fuliggine e gli occhi disperati: solo 13 persone di quelle che si trovano sotto quota 915, tornano vive a casa.

La tragedia di Marcinelle, nel tempo, è diventata il simbolo di quegli anni durissimi: sia dal punto di vista della sicurezza sui posti di lavoro, sia da quello dell’immigrazione. Mattarella, giustamente, ci ricorda che entrambe le questioni sono ancora vive e terribilmente calde.

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